venerdì 16 maggio 2014

Godzilla è di nuovo in città di Claudio Conti, Contropiano.org

Godzilla è di nuovo in città

Ora si svegliano tutti. Ora tutti si accorgono di aver vissuto nel “Truman Show”, ovvero in quel mondo pressurizzato e protetto dalle “iniezioni di liquidità” erogate o promesse a piene mani dalle principali banche centrali del pianeta. Ora tutti fanno mostra di capire che “l'economia reale” è dura e vendicativa. Anche perché l'economia “virtuale” - la finanza in chiaro come quella “shadow” - esiste solo in relazione alla prima, come supporto a o speculazione su, ma non a prescindere da (l'economia reale).
Ora tutti verificano – sorpresi! - che le proiezioni sulle attese o gli indici sulla “fiducia” erano wishful thinking, non esercizi scientifici anticipatori dei futuri scenari. E così il tormentone di tutti i governi (“la ripresa è dietro l'angolo”) si appresta a essere sostituito dal più horror “Godzilla è di nuovo in città”. Il mostro riemerso dalle grotte è la crisi del sistema capitalistico attuale, non di un suo comparto più “avido e indisciplinato” degli altri.
Il settimo anno di crisi globale sta insomma per chiudersi (agosto del 2007 è l'inizio congiunturale, con l'esplosione della “bolla dei mutui subprime”) con un ritorno alle origini. Tutto quello che è stato fatto fin qui per “uscire dalla crisi” non ha fatto altro che spostare i confini, far pagare a qualcun altro parte del conto (alla Grecia, ai Piigs, al mondo del lavoro, ai consumi o alla spesa pubbica ovunque). Quisquilie. La liquidità facile ha aggravato la situazione, creando un circuito di “portafogli” estremamente gonfi, ma soprattutto “d'aria”.
Traduciamo. La “serenità” riapparsa sui mercati europei – e dunque globali – era il frutto di un triplo movimento: liquidità ad libitum emessa da Federal Reserve e Banca del Giappone, spostamento in Europa di capitali in fuga dai mercati “emergenti” (negli ultimi mesi in difficoltà) e “promessa” della Bce di agire – se necessario – come prestatore di ultima istanza. Anche se in forme “non convenzionali”.
Un'overdose di capitali liquidi in cerca di valorizzazione (tradotto: di profitti, sia pur minimi, o di tranquillità) che ha fatto scomparire ogni percezione dei rischi. Quindi un aumento degli “azzardi”. A farne le spese (ovvero a beneficiarne, finora) sono stati soprattutto i titoli obbligazionari, persino quelli che fino a due anni fa nessuno voleva (ad esempio: quelli greci); mentre andavano giù i titoli azionari “classici”, legati a merci fisiche o materie prime.
È bastato che l'Eurostat dicesse a tutti – ieri – come stanno invece le cose: l'economia reale continentale è ferma e non riesce a ripartire. Le “riforme strutturali” - là dove realizzate appieno, con grande spargimento di sangue per i lavoratori – hanno dato modestissimi risultati (a meno di non considerare un successo una “crescita” dell'1,5% dopo un crollo del 25%). Ma l'establishment sovranazionale non possiede alcuna “ricetta” di riserva.
In questo clima le reazioni sono apertamente divaricantesi, quasi un si salvi chi può. La Francia di Hollande vara una legge che impedisce le scalate straniere ad aziende nazionali operanti nei comparti strategici. Soprattutto, estende la qualifica di “strategico” dai settori consueti (sicurezza e militare) ad altri quasi dimenticati (elettricità, energia, trasporti, comunicazioni, acqua, addirittura la sanità). In Italia si continua correre in direzione opposta, tra “privatizzazioni” che consegnano proprio questi settori a capitali stranieri spesso con l'ottica dell'investimento a breve (se non addirittura dell'eliminazione della concorrenza) oppure a “campioni nazionali” che acquistano a debito per poi spacchettare e rivendere nel più breve tempo possibile. L'elenco dei “campioni nazionali” scomparsi o sul punto di venir alienati è lunga un chilometro (da Telecom alle banche di “interesse nazionale”, dall'Alitalia all'Eni, dalle municipalizzate in su). La crisi è “fisica”, non uno stato d'animo esposto alla speculazione.
E non riguarda solo questo disgraziato paese consegnato ai comici e agli impresari. In tre mesi Amazon ha perso oltre un terzo del suo valore. Il valore delle azioni Twitter si è dimezzato. Facebook ha lasciato sul terreno quasi il 30%. Tutte aziende del “virtuale” (due social network, un distributore globale a prezzi scontati). La “preistorica” Petrobras (petrolio brasiliano) si è rivalutata del 50%.
Le “cose” tornano improvvisamente più solide della “carta”. Bentornati sul pianeta Terra. Peccato che non c'è il paracadute...

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