giovedì 26 giugno 2014

IL FIATO CORTO DI MATTEO RENZI di Piemme


«Non è con i pannicelli caldi degli "allentamenti dei patti" che l'Italia potrà uscire dal marasma. Ci vorranno misure radicali, tra cui l'abbandono della moneta unica e la disdetta dei Trattati, e poi grandi trasformazioni sociali. Senza il paese procederà sulla via del collasso e dovrà necessariamente passare per un periodo di eccezionali turbolenze sociali.
Si illude, il Renzi, che in queste condizioni abbia mille giorni a disposizione».

Avremo modo di tornare a parlare dello spettacolo che va sotto il nome di "riforma della legge elettorale". L'astuto Renzi va per la sua strada, si dichiara disposto a trattare, ma senza mettere in discussione il principio per cui "chi arriva primo pigliatutto", anche ove il "primo" fosse solo una minoranza del Paese. Ciò con buona pace del principio democratico della rappresentanza, per cui governare spetta a chi ottiene la maggioranza effettiva dei consensi.
Il Movimento 5 Stelle sembra un pugile suonato. Dopo aver depositato una propria indecente spagnolista proposta di legge elettorale (una pseudo-proporzionale che fa acqua da tutte le parti), in occasione dell'incontro di oggi con la delegazione del Pd, M5S ha di gran lunga peggiorato le cose, aprendo all'ipotesi antidemocratica e anticostituzionale di uno sbarramento generale del 5% (col che una forza con più di 2 milioni di voti non entrerebbe in Parlamento) e addirittura al doppio turno com'è nei desiderata del Pd. Per farla corta:  avendo sorpassato in voti il blocco berlusconiano, i pentastellati han fatto la mesta fine degli altri, proponendo una legge pro domo loro, nella speranza (vana) di congelare l'attuale bipolarismo Pd-M5S.

Lunedì la Merkel ha accennato alla possibilità che la Germania accetti, per i paesi Ue con alto debito e alto deficit, deroghe ai vincoli stringenti del Patto di Stabilità stipulato dai paesi Ue nel 1997. Due i vincoli o caveat fondamentali: il primo è che il deficit pubblico non deve superare il 3% del Pil del Paese, in caso di sforamento scatta la procedura d'infrazione; il secondo vincolo è che il debito pubblico non deve superare il 60% del Pil. Ricordiamo che il Patto di Stabilità venne blindato successivamente nel dicembre 2011dal Six Pack, quindi dal Fiscal Compact siglato nel marzo 2012, ed infine dal Two Pack entrato in vigore nel marzo 2013 —il quale consegna alla Commissione europea la possibilità di pronunciarsi sui bilanci nazionali dei 18 Paesi della zona euro (a partire dal 2014) ed eventualmente di porre il veto, mentre fino ad allora poteva esprimere solo raccomandazioni.

Il giorno dopo, cioè ieri, i giornali italiani esultavano. Oggi l'inevitabile correzione di rotta. La battuta della Merkel è stata spiegata dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble: la Germania, ha affermato in Parlamento, non accetterà alcuna deroga alle regole fiscali e di bilancio. Più preciso ancora è stato Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: "Non abbiamo bisogno di un indebolimento ma piuttosto di un rafforzamento delle regole Ue". Ecco, ha fatto capire Weidmann "non appena le pressioni del mercato si sono calmate, sono giunte le richieste dei politici per un allentamento delle regole".

Scontro vero o finto in seno al governo e alla cupola tedeschi? Lo sapremo presto, dalle conlcusioni del prossimo Consiglio europeo, che si riunirà domani e dopodomani. 
Il varco per Renzi è strettissimo. Vorrebbe tornare a casa con qualcosa in mano, con almeno la promessa che il suo governo possa almeno, dimenandosi tra le pieghe dei Trattati, possa: (1) scorporare le spese per investimenti  dal calcolo del deficit e (2) ammorbidire la clausola del Fiscal Compact e ribadita dal Two Pack, che entra in vigore nel prossimo anno e che prevede la riduzione annuale automatica di un ventesimo dell'eccesso di debito, i famigerati 50 miliardi l'anno di tagli

Renzi si presenta al Consiglio europeo con vaghe promesse di "riforme radicali" e privatizzazioni. Difficile che queste possano incantare Berlino. E' probabile che il Consiglio europeo si concluda con un prendere tempo. Il blocco tedesco vorrà prima di tutto chiudere la partita delle nomine europee, definire gli assetti dei centri nevralgici, tra cui la Commissione europea, ed è significativo che la Germania tenga duro sul suo candidato Jean-Claude Juncker, non certo un accomodante.

Non c'è bisogno di attendere il Consiglio europeo per capire quanto vaghe siano le promesse di Renzi
Nel discorso svolto ieri in Parlamento il Presidente del Consiglio ha fatto sfoggio della sua proverbiale retorica, anche con frasi ad affetto che potrebbero essere attribuite ad un euro-scettico: "Si è immaginato di fare l'Europa solo basandosi sulla stabilità. Ma la stabilità senza la crescita diventa immobilismo. Si e' affidato alla moneta il compito di costruire l'Europa. Questo ragionamento non basta: non basta avere una moneta unica per condividere un destino insieme".

L'astuto Renzi è tuttavia un baro.
Dietro al fumo del suo discorso l'arrosto è stato costituito dalla risoluzione presentata a Montecitorio dai capigruppo della maggioranza che sorregge il governo nella quale sono contenute le direttive in vista della presidenza italiana del semestre europeo (approvata con 296 sì e 169 no): di riferimenti all'allentamento del Patto di stabilità e del Fiscal compact nemmeno l'ombra. Se a questo sommiamo che il 3% di deficit su Pil è stato addirittura scolpito in Costituzione (e Renzi ha più volte ripetuto che lo rispetterà), è facile capire quanto lungo sia il naso di Renzi.

Non è con i pannicelli caldi degli "allentamenti dei patti" che l'Italia potrà uscire dal marasma. Ci vorranno misure radicali, tra cui l'abbandono della moneta unica e la disdetta dei Trattati, e poi grandi trasformazioni sociali. Senza il paese procederà sulla via del collasso e dovrà necessariamente passare per un periodo di eccezionali turbolenze sociali.
Si illude, il Renzi, che in queste condizioni abbia mille giorni a disposizione.

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