giovedì 17 luglio 2014

Così andiamo al disastro di Giorgio Cremaschi

Se le parole sono pietre, si devono lanciare con la giusta forza verso il bersaglio scelto. Invece  le iniziative concrete  di coloro che denunciano il disegno autoritario di Renzi non corrispondono alla gravità dell’allarme lanciato e così la denuncia stessa rischia di  risultare inefficace. Sul terreno  economico e sociale il  governo ha adottato tutti i peggiori dogmi del liberismo.
La vicenda Alitalia, come al solito presentata dal regime come l’ultima spiaggia dello sviluppo, non è solo una svendita all’incanto dopo il fallimento bipartisan di imprese, banche, governo. È anche e prima di tutto un terribile esperimento sociale, perché per la prima volta dagli anni ’50 del secolo scorso un governo autorizza il licenziamento in tronco di migliaia di lavoratrici e lavoratori, rifiutando l’utilizzo della cassa integrazione.
È un altro pezzo del Jobsact, che intende sostanzialmete cancellare la CIG. Solo il presidente più di destra del 900 americano, Ronald Reagan, aveva attuato con i controllori di volo una misura del genere. Ci si rende conto, dalle parti del mondo che si definisce democratico, che cosa vuol dire con la crisi economica che si aggrava dare il via ai licenziamenti di massa nelle grandi aziende? Significa che sul piano sociale non tiene più niente, che siamo come la Grecia. E infatti dopo quel paese il nostro è la seconda cavia dell’Europa dell’austerità e del  fiscal compact. Con la prima si è proceduto in modo troppo brutale, al punto da suscitatore una reazione politica che rischia di compromettere il disegno. Con l’Italia, che Monti e Letta stavano portando alla stessa crisi di consenso della Grecia, si è deciso di correggere la rotta. Meno bastone e, almeno all’inizio, più carota. La carota è Renzi.
Il progetto di controriforma costituzionale di Renzi serve a costruire in anticipo quel sistema di potere autoritario che dovrà gestire la distruzione sociale dell’Italia. Per questo Renzi lo vende all’estero al posto dei tagli di bilancio dei suoi predecessori. E per questo banche e finanza per ora si accontentano di  riforme politiche al posto di quelle economiche. Perché i poteri finanziari che hanno fatto diventare presidente del consiglio uno  sconosciuto sindaco di Firenze vogliono che una volta avviato, il percorso liberista non si fermi più. Ci vuole allora una manomissione complessiva ed organica della Costituzione, che garantisca ad un potere insindacabile di poter privatizzare servizi, chiudere ospedali, vendere alle multinazionali, cancellare contratti e diritti, licenziare , precarizzare, selezionare. Quello che le élites speravano facesse Berlusconi nel 1994. Dopo venti anni quel disegno viene realizzato da Renzi, con ben altro sostegno in Italia ed in Europa . Non facciamo i provinciali, la  controriforma renziana non è tanto figlia della P2 quanto di Bildenberg.
Il principio che la ispira è  molto semplice e  in fondo e quello di tutte le dittature: si vota una volta e poi chi vince comanda per sempre, impedendo l’organizzazione e la rappresentanza ad ogni forma di vera critica, contestazione, dissenso.
Di fronte a tutto questo il campo avverso o critico è complessivamente incerto, contraddittorio, confuso.
Nel mondo sindacale CISL e UIL e UGL sono oramai paracarri del sistema renziano, al quale son stati concessi   in dono da Marchionne. La CGIL si muove come un pugile suonato, e i colpi che riceve non la fanno reagire. Intanto l’accordo del 10 gennaio diventa  la trasposizione del’Italicum sul terreno  della rappresentanza sindacale. Anzi è persino peggio perché quell’intesa programma l’esclusione del dissenso addirittura prima del e non con il voto. Dalla Fiom,  alla sinistra CGIL, ai sindacati di base non sono poche le forze che si oppongono a questo sistema, ma non lo stanno facendo   assieme e con la dovuta determinazione comune. Soprattutto la FIOM non trasforma il suo dissenso in vera disobbedienza e così  avanza la normalizzazione  sindacale.
Sul piano politico il Movimento 5 Stelle, con tutto il rispetto, pare entrato dopo le europee in una fase confusionale , nella quale sta forse emergendo la debolezza delle sue basi politiche di fondo. Così oscilla tra la denuncia della svolta autoritaria e le letterine di buoni propositi indirizzati a chi di quella svolta è l’artefice.
Le sinistre che si sono raccolte attorno alla Lista Tsipras non hanno ancora chiarito cosa vogliono fare da grandi. E quando ci  provano, si spaccano. La sinistra radicale italiana  non è in crisi per l’assenza di buoni propositi, belle idee e bei programmi, ma  per  una storia di incoerenze tra il dire ed il fare. Queste forze sono oggi disponibili  a combattere il PD renziano ovunque, per esempio e per cominciare  in Emilia Romagna nelle elezioni del prossimo autunno? O si pensa ancora a tenere assieme chi vuol contrastare davvero il sistema renziano e chi si illude di condizionarlo dal suo interno?
I movimenti sociali, le lotte ambientali e territoriali sono oggi una forza diffusa, che subisce una repressione autoritaria vergognosa. Ma i loro gruppi dirigenti non pensano ad un politica di alleanze con gli altri che si oppongono, lanciano le loro scadenze e si aspettano che tutti aderiscano. Così anche qui ci si logora.
Il non molto vasto mondo degli intellettuali rimasto fuori dal regime delle larghe intese, si muove con efficacia ridotta anche rispetto alle proprie forze reali. Pesa evidentemente la fine della guerra fredda tra mondo Fininvest e mondo Repubblica-Espresso. Entrambi oggi sono nel pacchetto di mischia renziano, con qualche dissidenza che, se non esagera, fa molto pluralismo. È comprensibile quanto sia difficile rompere con storie e schieramenti ventennali, ma la critica del pensiero unico renziano proprio questo dovrebbe fare per essere efficace.
Ciò che unifica tutte queste deboli opposizioni al regime renziano è la convinzione di chi le guida di poter andare avanti come ha sempre fatto. Così si fanno la petizione, la manifestazione,  l’appello, l’assemblea, come sempre. E così si contraddice  il senso profondo dello stesso allarme che si lancia. Se si fanno le stesse cose di sempre,  allora forse non è vero che la situazione sia  così grave come la si denuncia.
Se si andrà avanti così questo periodo verrà ricordato come quello in cui , grazie  anche alla fiacchezza e all’opportunismo di chi denunciava il regime, il regime nacque.
Per concludere,  tutte le forze democratiche che intendono davvero opporsi a Renzi e a ciò che rappresenta, ci provano a interloquire tra loro e magari a sedersi attorno ad un tavolo per discutere, anche in streaming, su cosa fare assieme per fermare il regime? O andiamo avanti così fino al disastro e alle recriminazioni finali?

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