giovedì 24 luglio 2014

Le larghe intese provocano il crollo del tasso di accumulazione in Italia


Le larghe intese provocano il crollo del tasso di accumulazione in Italia
La menano con lo 0,2% (e con ulteriori rischi al ribasso..), come se questo fosse il problema. Leggono le intro del Bollettino Economico e nessuno che si degni di leggerlo interamente. Il giorno dopo, editoriali di un’ovvietà disarmante e tutti a parlare di “riforme” per uscire dalla “crisi”. Ma non è una crisi, è un vero crollo capitalistico, quello certificato dai tecnici di Palazzo Koch.
Dopo tante pagine in cui si articolano le misure messe in campo da governi e banche centrali di tutto il mondo, ecco arrivare il paragrafo riguardante l’economia italiana. Potrà crescere solo se ritornano gli investimenti. Sta qui il problema, non ritornano da decenni, figurarsi oggi. Ma perché puntare sugli investimenti e non magari su altre voci? La risposta è insita in una riga della pagina 36 del Bollettino economico: il tasso di accumulazione nel biennio 2012-2013 è crollato del 13%. Non si è arrestato, il tasso, semplicemente è crollato a livelli mai visti dalla storia dell’unità d’Italia. Ma non è finita qui: gli investimenti potrebbero ulteriormente decelerare a causa della persistente sovracapacità produttiva.
Insomma si è perso il 25% della produzione industriale, ma potrebbe non bastare, un nuovo ciclo di investimenti si avrebbe, a questo punto, con la perdita di almeno il 40% della capacità produttiva e a quel punto addio prodotto potenziale, ci vorrebbe un’arma atomica economica per ripartire.
Di chi è la colpa di questo disastro? Il Bollettino informa che l’arco temporale è il 2012-2013, ma nemmeno in questo semestre le cose sono migliorate. Chi c’è stato al governo? Sono gli anni delle larghe intese, di Monti, Letta e Renzi con i mass media che bombardavano gli italiani sulla necessità delle riforme. Chi li ferma più questi autori del disastro più epocale che l’Italia abbia mai avuto?
Guardando poi ai prezzi, il Bollettino Economico informa che la deflazione in atto (non utilizzano questo termine per non allarmare ulteriormente) deriva in gran parte dell’enorme capacità produttiva inutilizzata e solo in parte dall’euro forte. Si dimenticano però di aggiungere che la strategia di asset inflation della Bce implica la deflazione salariale e la svalutazione interna per fronteggiare i mercati internazionali. Dunque, sovrapproduzione e svalutazione salariale, una tenaglia micidiale che ha affogato l’economia italiana, perseguita dai fautori dell’austerità espansiva.
Poi vai a guardare altri grafici e scopri che nel giro di un anno e mezzo il tasso di risparmio è schizzato di 5 punti e mezzo percentuali, arrivando ai livelli del 2004. Nessuno consuma perché ha salari da fame e chi ha i soldi risparmia e non investe, un cortocircuito che ha mandato in tilt l’economia italiana. Se non fosse per le esportazioni, ritornate ai livelli del 2007, la depressione economica sarebbe ancora più profonda. E dire che pochi mesi fa si era avvertito che un’ulteriore svalutazione interna avrebbe provocato un boomerang costituito dalla perdita di capacità produttiva. E’ vero, ci sono fattori interni, i piccoli, marxianamente, vengono decimati, ma le medie grandi imprese, quando non vengono acquistate da colossi esteri, semplicemente sono incapaci di trascinare il Paese e comunque avrebbero bisogno di un forte mercato interno per ripartire.
Politici e mezzi di comunicazione, tutti, incessantemente parlano di “riforme”, ma il quadro è che semplicemente devono gestire a livello sociale, con repressione delle forme di protesta e dei livelli di democrazia, l’enorme bacino di disoccupati, precari e sottoccupati che arriva a superare le 10 milioni di unità.
Non che la situazione nei paesi atlantici sia diversa, così come nell’eurozona: qualche mese fa l’economista Marcello De Cecco si chiedeva come avrebbe fatto l’enorme apparato produttivo occidentale a trovare sbocchi di mercati quando ormai la liquidità è in mano ad un solo 1% della popolazione.
Il capitalismo occidentale non regge più, qualsiasi ipotesi riformistica è utopica, occorre prendere spunto dalle strategie economiche di paesi come la Cina che, in un quadro internazionale fortemente deteriorato, riesce ancora a garantire posti di lavoro e crescita economica apprezzabile. Deve tornare la bestemmia dell’intervento pubblico nell’economia, i mille miliardi di Draghi che verranno immessi a settembre non finanzieranno nuovi investimenti (in un quadro del genere, chi investe?), ma serviranno per ristrutturazioni di debito con minor oneri finanziari, che assorbono gran parte del pluslavoro prodotto nelle fabbriche.
L’Ue, ma è meglio dire il suo vero padrone, la Germania, ha imposto questa politica per un semplice motivo: doveva distruggere un concorrente, e ci è riuscito, l’aveva in mente sin dal 1972 con il Piano Werner, un primo attacco ci fu nel 1992, la dirigenza italiana non ha fatto altro da allora che seguirla fino alla completa distruzione dell’economia del Paese. Se non si cambia presto rotta, la depressione ammorbirà il Paese per decenni.
Per uscirne anche questa volta occorre bestemmiare: fuoriuscita dall’euro e ancoraggio ad un paniere di valute, possibilmente dollaro (semplicemente perché è con questa valuta che si prezzano le materie prime, altrimenti anch’essa sarebbe carta straccia), yuan e sterlina e ripristino della sovranità monetaria. E’ l’epoca del disastro, dunque è l’ora della bestemmia, occorre dire le cose come stanno, la deflazione salariale tedesca non si fermerà e l’austerity continuerà il suo corso, nonostante gli strali di Renzi. O si andrà allo scontro totale, come delle volte sembra presagire l’azione del fiorentino, o sarà la capitolazione finale.
Un mese fa il premier è andato in Cina, tra gli altri ha incontrato il governatore della Banca Centrale Zhou Xiachouan, l’unica notizia che è trapelata è che sembra che sia andata bene. Cosa si siano detti è pero un mistero, sta di fatto che il Bollettino economico informa che negli ultimi 6 mesi ci sono stati acquisti esteri per titoli di stato a lungo termine per 75 miliardi di euro e che grazie a questo Target2, il sistema di pagamenti infraeurozona, principalmente con la Bundesbank, presenta un deficit dimezzato, da 280 miliardi a 150 miliardi di euro. Occorre una partnership con la Cina e con i Brics per azzerarlo, altrimenti non se ne esce dacché la deflazione europea diminuirà ancor di più il tasso di accumulazione.
Certo, in Italia è in corso una lotta tra capitale commerciale e capitale industriale, tipico delle crisi, ma non sembra che nessuno dei due se la passi poi tanto bene; e questo perché il capitale industriale ha attuato come unica controtendenza la svalutazione salariale, in giro processi di concentrazione o di quotazioni azionarie non se ne vedono, logico che poi arriva il capitale estero e si mangia tutto. Ma poi, nelle Considerazioni Finali, Visco non faceva proprio cenno al capitale estero come protagonista del processo di ri-accumulazione? Evidentemente, quello nostrano, lamentoso, tirchio e che deborda ogni giorno in ambito politico con la “convegnite”, non è capace di avviare processi di crescita, si tiene la roba e campa di rendita, salvo poi rivendicare soldi, favori e distruzione sociale al loro “Stato”.
Com’erano entusiasti di Monti e Fornero, quanti elogi sui loro giornali ai protagonisti della debacle economica italiana! Tutti entusiasti delle larghe intese e dei governi “comunitari”: la storia ha presentato il conto, in un freddo paragrafo dell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia. Ma nessun media ne ha fatto cenno.
Questa sarebbe la “libertà di espressione” della “democrazia” italiana che difende i principi contro l’autoritarismo cinese. Lì sono capaci, a livello economico, di correggere il tiro nel caso le cose non funzionassero, qui si continua imperterriti sulla via del disastro, con le tv ad intervistare la pon pon Boschi che parla di “riforme”. Le larghe intese hanno distrutto il Paese, sarebbe ora che si costruisce una forza di opposizione, innanzitutto sul piano delle idee. Sarebbe già qualcosa rispetto ai disastri attuali.
di Pasquale Cicalese,  Marx XXI

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