martedì 15 luglio 2014

Totem e tabù



di Norma Rangeri, Il Manifesto

L’unica tumul­tuosa cre­scita di cui siamo cam­pioni è l’inarrestabile aumento della povertà. Dopo il Rap­porto della Cari­tas sul suo rad­dop­pio e sul cam­bia­mento della sua mappa sociale, arri­vano ora gli ultimi aggior­na­menti dell’Istat a con­ferma dell’indigenza «asso­luta» per un ita­liano su dieci.
Pur­troppo non biso­gnava aspet­tare i dati di Cari­tas e Istat, né essere prov­vi­sti di par­ti­co­lari doti di pre­veg­genza per sapere che «l’ascensore sociale fun­ziona. In giù», come tito­la­vamo qual­che giorno fa in prima pagina rac­con­tando una sto­ria di ordi­na­ria dispe­ra­zione di una fami­glia ope­raia, con padri e figli col­piti dalla crisi, ridotti a gal­leg­giare su una pre­ca­ria linea di sosten­ta­mento per­ché i salari una volta suf­fi­cienti a man­te­nere la fami­glia, oggi garan­ti­scono una vita di stenti. Milioni di per­sone che a dar retta alle ricette del governo dovreb­bero essere sal­vate da una ulte­riore libe­ra­liz­za­zione del mer­cato del lavoro com­bi­nata con una ridu­zione della rap­pre­sen­tanza nei livelli parlamentari.
E se la povertà è un tabù, il totem è l’articolo 18 che torna a galla per­ché la pre­ca­rietà non è mai abba­stanza. Il lavoro ci sarebbe in abbon­danza se i soliti sin­da­cati cor­po­ra­tivi non faces­sero di tutto per impe­dirne il natu­rale svi­luppo, per esem­pio difen­dendo l’articolo 18, «un totem degli anni ’70–80» secondo il parere del sot­to­se­gre­ta­rio Rughetti (ren­ziano doc), un intral­cio «da supe­rare del tutto» secondo il mini­stro Alfano, un resi­duato «da can­cel­lare per­ché toglierlo dimo­stra lea­der­ship e fa lavoro», secondo l’ex mini­stro Sac­coni. Voci di primo piano, e in pro­fonda sin­to­nia, della maggioranza.
L’articolo 18 ancora non entra nel reper­to­rio del pre­si­dente del con­si­glio che, tut­ta­via, nella dome­ni­cale inter­vi­sta al Cor­riere della Sera, fa comun­que sapere che si potrebbe «dare lavoro a 40 mila per­sone» con lo «sblocco mine­ra­rio», che poi sarebbe tri­vel­lare Sici­lia e Basi­li­cata «per rad­dop­piare la per­cen­tuale di petro­lio e gas, ma non lo si fa per paura delle rea­zioni di tre o quat­tro comi­ta­tini». Osta­coli risi­bili per un tri­vel­la­tore che è anche lea­der nella sven­dita delle nostre indu­strie al peg­gior offe­rente (il caso dell’Indesit finita a Whir­pool a fronte di un’offerta cinese eco­no­mi­ca­mente migliore). Renzi riven­dica il discount ita­liano (che d’altra parte è leit-motiv del suo governo) e se ne vanta: «L’Indesit la con­si­dero un’operazione fan­ta­stica, ho par­lato per­so­nal­mente con gli americani».
Nem­meno un refolo della tem­pe­sta sociale attra­versa il pen­siero e le pre­oc­cu­pa­zioni di chi, del resto, è tutto con­cen­trato su una riforma costi­tu­zio­nale che dovrebbe fare il mira­colo di lan­ciare il paese in una nuova fase di svi­luppo per­ché ridu­cendo la rap­pre­sen­tanza si gua­da­gnano cre­den­ziali in Europa. Ma del resto la pro­pa­ganda ren­ziana al mer­cato dell’informazione va fortissima.
Palazzo Chigi può con­ti­nuare a dire che il nuovo senato è dise­gnato sul modello tede­sco anche se, come ha spie­gato su que­ste pagine Mas­simo Vil­lone, nel Bun­de­srat sie­dono i rap­pre­sen­tanti ese­cu­tivi dei Lan­der che votano in blocco per il Land di appar­te­nenza e in nes­sun paese euro­peo esi­ste qual­cosa come quel con­cen­trato di ceto poli­tico che sta per diven­tare il nostro senato. Sulla cui auto­no­mia ci sarebbe da ridere se non fosse dram­ma­ti­ca­mente vero che dif­fi­cil­mente potrà essere pra­ti­cata da que­gli stessi dele­gati regio­nali che dal governo dipen­dono per le risorse di cui potranno disporre. E con quali per­cen­tuali tra cor­ret­tezza e cor­ru­zione ognuno può giudicare.

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