venerdì 8 agosto 2014

Autunno e tv, ecco perché il soccorso azzurro ci sarà —  Andrea Colombo, Il Manifesto

Il patto del Nazareno. Renzi nega che a Palazzo Chigi si sia parlato si un avvicinamento di Forza Italia alla maggioranza. Ma Berlusconi lo ha spiegato ai suoi: il premier garantisce condivise, anche quella che cambierà il servizio pubblico
Alle 21 di ieri sera, a vota­zioni ter­mi­nate, restava ancora in dub­bio la pre­senza in aula, sta­mat­tina, del papà della riforma: Mat­teo Renzi. Nel tardo pome­rig­gio, l’inquilino di palazzo Chigi avrebbe chie­sto un parere al gruppo del suo par­tito, che lo avrebbe sec­ca­mente scon­si­gliato: meglio evi­tare. Più o meno alla stessa ora, nes­suno aveva ancora chie­sto la diretta tv per il dibat­tito di sta­mat­tina. Non ci sarebbe nulla di strano se non si trat­tasse dell’evento indi­cato più volte dallo stesso Renzi come di por­tata «sto­rica». La sce­neg­giata, infatti, era già pronta, con tanto di data fati­dica rispet­tata meti­co­lo­sa­mente. Del tipo: «L’8 ago­sto avevo detto, e l’8 ago­sto è stato».
Il giorno della sto­rica vit­to­ria è diven­tato un appun­ta­mento temi­bile e temuto. Non c’è ana­lisi altret­tanto elo­quente nel descri­vere la fase dif­fi­ci­lis­sima nella quale si trova il trion­fa­tore delle ele­zioni euro­pee. La luna di miele è finita, e per sin­ce­rar­sene bastava leg­gere ieri gli edi­to­riali al vetriolo di una stampa fino a 24 ore prima capace solo di can­tare le lodi del governo.
Il guaio, al momento, è fatto di cifre delu­denti e conti pub­blici deso­lanti, non ancora di peri­coli poli­tici. Merito di Sil­vio Ber­lu­sconi e della sua mal­ce­lata coper­tura: se Fi fosse dav­vero un par­tito d’opposizione, la sorte del governo Renzi sarebbe più o meno segnata. È invece di mag­gio­ranza in tutto tranne che nel nome, e solo per que­sto l’allarme poli­tico non è ancora rosso. Gio­vedì pome­rig­gio, subito dopo la rim­pa­triata a palazzo Chigi, Renzi si era pre­mu­rato di far fil­trare sec­che smen­tite all’eventualità di con­cor­dare con Ber­lu­sconi le misure eco­no­mi­che. Ma nes­suno glielo aveva pro­po­sto. Inter­vi­stato dal Mes­sag­gero aveva riba­dito che di con­ver­genze sull’economia non si può par­lare: «Se ci sono sin­goli argo­menti sui quali sono d’accordo ben venga, ma mi sem­bra dif­fi­cile». Una tipica con­ferma tra­ve­stita da smen­tita. Pro­prio que­sto, infatti, è stato l’impegno di Ber­lu­sconi, del resto già pra­ti­cato da tempo: soste­nere atti­va­mente le misure del governo solo se e quando neces­sa­rio, e per il resto evi­tare affondi che met­te­reb­bero in seria dif­fi­coltà il socio. È solo gra­zie a que­sto fon­da­men­tale soste­gno che Renzi, nono­stante la disfatta eco­no­mica, può guar­dare al futuro con qual­che spe­ranza.
Biso­gnerà però vedere se quell’intesa per­fetta tra i due finti rivali supe­rerà la prova dell’autunno. È pos­si­bile, non certo. Basta farsi un giro fra i par­la­men­tari azzurri per con­clu­dere che da quelle parti gli umori sono neri. «La verità — con­fessa scon­so­lata una par­la­men­tare di lungo corso — è che Ber­lu­sconi è entrato in poli­tica per sal­vare le sue aziende e adesso ne esce per lo stesso motivo». Pochi passi più in là una col­lega disqui­si­sce sulla col­lo­ca­zione futura del par­tito: «Un appog­gio esterno saprebbe un po’ troppo di prima repub­blica, ma un nostro ingresso aperto al governo pro­ba­bil­mente Renzi non lo può reg­gere. Certo è un fatto che nelle ultime set­ti­mane ci siamo avvi­ci­nati mol­tis­simo alla mag­gio­ranza». Se provi a fare l’avvocato difen­sore e segnali che in com­penso l’ex cava­liere porta a casa la sua riforma elet­to­rale, la musica non cam­bia. «Ma se gli abbiamo dato pro­prio quello che per vent’anni abbiamo con­si­de­rato il peri­colo più grave, il dop­pio turno», sbotta un sena­tore tra i più agguerriti.
Non sono casi iso­lati ma cam­pioni fedeli di uno stato d’animo quasi una­nime. Le truppe for­zi­ste si ren­dono per­fet­ta­mente conto di essere in que­sto momento pedine e merce di scam­bio: nulla di più. Dal mer­ci­mo­nio del Naza­reno il capo non è affatto uscito a mani vuote, ma la con­tro­par­tita (che è nei fatti, non in rocam­bo­le­sche clau­sole segrete) va a van­tag­gio suo, non del par­tito. Arcore deci­derà con palazzo Chigi chi dovrà suc­ce­dere a Napo­li­tano e il con­dan­nato Ber­lu­sconi ne gioirà. Finin­vest col­la­bo­rerà con il governo alla riforma com­ples­siva dell’etere: avrà garan­zie sui tetti pub­bli­ci­tari, met­terà mano, forse anche qual­cosa in più, alla riforma della Rai, e l’industriale Ber­lu­sconi se ne ral­le­grerà. Ma dal punto di vista poli­tico, trat­tasi di secca sven­dita. Che la carne da can­none di Ber­lu­sconi accetti ancora a lungo di ade­guarsi allo sco­modo ruolo non è affatto garantito.

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