martedì 19 agosto 2014

DIRE, FARE, GUFARE


redhowl
di Massimo RIBAUDO, Esseresinistra.wordpress.com
Siamo noi, siamo quelli che hanno memoria, che leggono qualche libro, che si ricordano le parole dei nonni, delle madri e dei padri.
Siamo noi, che boicottiamo ogni tentativo di sopraffazione sull’uomo e sulla Natura, che segnaliamo e denunciamo gli abusi, le scommesse senza regole dove vince sempre “il banco”. I disfattisti, quelli contro ogni guerra, che non sia solo ed esclusivamente difensiva e dalla quale dipenda la protezione di un territorio e di una civiltà dall’attacco di un’altra. E, chiaramente, che non sia MAI protezione preventiva.
Perché ci sono degli altri uomini, delle donne, dei bambini dall’altra parte. Come i nostri.
Siamo noi che abbiamo bandiere universali di coesistenza e rispetto per le diversità che non vogliono annullare la nostra diversità.
Una vita in comune, di pace, convivenza, aiuto, mutualità, cooperazione, individualità aperte agli altri: io e noi.
Quindi, diciamolo, siamo COMUNISTI.
Le aspettative crescenti, i desideri senza limite, il narcisismo cinico di chi crede di prendere sempre l’onda giusta non è per noi. “Divertiti pure, ma non fare danni”.
E troppi, davvero troppi danni sono stati creati da chi crede solo nella competizione, nell’arrivare per primo a discapito di miliardi di individui, dalla distruttività dell’idea di una crescita senza limiti. Non esiste, senza guerra e senza sopraffazione. E i desideri senza limiti, i guadagni senza merito, le scommesse truccate dal doping chimico o finanziario, hanno bisogno del sangue altrui per realizzarsi.
Lo abbiamo sempre saputo, ma oggi lo vediamo in diretta su uno scherma, e scritto in un tweet.
lehmanLo abbiamo visto sui volti degli impiegati della Lehman Brothers, e nei nostri quando non possiamo pagare un debito per acquisti compulsivi.
Lo comprendiamo nei risultati delle guerre in Iraq ed in Afghanistan. Nessun risultato. Solo morti e debiti pubblici per mantenere truppe militari in quei luoghi.
Siamo quelli che: “scusate, ma non ci crediamo”. Non ci crediamo al fatto che riducendo i salari possa iniziare un nuovo sviluppo. Si muore, riducendo i salari, le chances di vita. Non ci crediamo ad un modello che fa pagare di più chi ha meno. Non ci crediamo che dare abusiva possibilità di licenziamento crei posti di lavoro. Ci creda pure una piccola borghesia ormai ridotta alla povertà.
Ci chiamano gufi? E noi gufiamo. Fra poco saranno cento anni. Cento anni in cui, visti i risultati – crescita c’è stata solo dopo un forte miglioramento delle condizioni e delle libertà del popolo dopo gli anni ’60-’70 – possiamo affermare con certezza una cosa: abbiamo lo sguardo delle aquile.
Nel 1917 si riunivano, clandestinamente, gufi – cioè comunisti – italiani tra i quali Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci. Lo sapevano. Lo sapevano bene che la guerra non avrebbe portato soluzioni. Che il patriottismo era solo una favola per gli ignoranti. Che la Guerra era un’occasione di sviluppo solo per un modello economico di rapina. Non erano disfattisti, ma realisti.
E avevano ragione loro.
Il processo di formazione di una frazione di estrema sinistra, che pare controlli nel 1917 un centinaio di sezioni della penisola, segna, sempre nella primavera, un’importante affermazione di principio fatta dalla sezione di Napoli che così suona: I socialisti di ogni paese debbono consacrare i propri sforzi alla cessazione della guerra, incitando il proletariato a rendersi cosciente della sua forza e a provocare con la sua azione intransigente di classe l’immediata cessazione delle ostilità, tentando di volgere la crisi al conseguimento degli scopi rivoluzionari del socialismo… La sezione fa voti che il partito in ogni circostanza anziché perdersi in ambiguità e incertezze, sappia compiere il suo dovere assumendo, con i suoi organi e i suoi uomini, il compito di disciplinare e dirigere l’agitazione delle masse, ponendosi al l’avanguardia del proletariato, sul terreno della lotta di massa contro il capitalismo e il militarismo borghese” (Storia della sinistra comunista, voi. I, Milano 1964, pp. 115-16).
Sono cambiati i tempi?
Forse.
Ma l’importante è gufare, cari allocchi e fagiani.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua