giovedì 7 agosto 2014

L'ECONOMIA DELLO 0%


di Paolo Pini
L’Istat ha solo cer­ti­fi­cato ciò che molti si aspet­ta­vano. Dopo un primo tri­me­stre 2014 con cre­scita del Pil nega­tiva (-0,1%), abbiamo un secondo tri­me­stre con cre­scita per­sino più nega­tiva (-0,2%) rispetto al tri­me­stre pre­ce­dente, con un –0,3% cumu­lato ed un iden­tico –0,3% rispetto all’anno precedente. L’Istat annun­cia che ciò riguarda tutti i set­tori, che la domanda interna rista­gna e pure il con­tri­buto della com­po­nente estera è nega­tivo. Si cer­ti­fica così che siamo in reces­sione tec­nica. Ciò pone la cre­scita del red­dito attesa per il 2014 allo 0%.
Il numero 0% ci sta accom­pa­gnando in media dal 2000. Siamo l’economia dello 0%. È dive­nuto il nostro carat­tere distin­tivo, nell’Eurozona, in Europa, tra le eco­no­mie svi­lup­pate. Il nostro biglietto da visita all’estero. Retag­gio di quanto non fatto e fatto male negli anni ’90, e non fatto e fatto per­sino peg­gio negli anni dell’euro.
Esso si accom­pa­gna a un altro 0%, quello della cre­scita della pro­dut­ti­vità, che risale ormai a venti anni fa, e che si è por­tato die­tro un altro carat­tere distin­tivo, quello dei salari (reali) a cre­scita 0%. Il Def2014 pre­ve­deva per il 2014 una cre­scita dell’1% della pro­dut­ti­vità, e ana­logo del costo del lavoro (retri­bu­zioni lorde), per lasciare quasi inal­te­rato il livello del costo del lavoro per unità di pro­dotto (Clup). Ma così non sem­bra andare, le due cre­scite ten­dono a zero. Non è chiaro quale dei due fat­tori sia la causa e quale sia l’effetto. Se i salari ri-stagnano, man­cano sti­moli alla cre­scita della pro­dut­ti­vità, la com­pe­ti­ti­vità lan­gue per­ché man­cano le inno­va­zioni che quella cre­scita dei salari indur­rebbe. Ma ancor più lan­gue la domanda interna com­pressa dai red­diti delle fami­glie che per­dono potere d’acquisto e da avanzi pri­mari del bilan­cio pub­blico che anno dopo anno, dal ’90, sot­trag­gono risorse e domanda all’economia reale.
E se la pro­dut­ti­vità non cre­sce, la torta pro-capite media non può aumen­tare e anche le poli­ti­che redi­stri­bu­tive hanno poco spa­zio per tra­sfe­rire sui red­diti da lavoro una cre­scita della pro­dut­ti­vità che non esi­ste. Pre­val­gono le ragioni del più forte, per cui le fette della torta cam­biano dimen­sione, si riduce quella del lavoro, si allarga quella dei pro­fitti e soprat­tutto della ren­dita. Così si pro­cede da venti anni. E l’economia reale ne sof­fre, per­ché il pro­gres­sivo cam­bia­mento delle quote distri­bu­tive dal lavoro a favore del capi­tale pro­dut­tivo e finan­zia­rio frena la cre­scita, in Ita­lia come altrove nelle eco­no­mie sviluppate.
La Legge di sta­bi­lità del dicem­bre 2013 (Letta-Saccomanni) pre­ve­deva per il 2014 un +1,1% di cre­scita del Pil, quando Fmi, Ocse, Ce pre­ve­de­vano un più cauto 0,8%. Da allora è stato un pro­gres­sivo aggiu­sta­mento al ribasso nelle pre­vi­sioni. Men­tre il Def dell’aprile 2014 (Renzi-Padoan) abbas­sava le stime al comun­que otti­mi­stico +0,8%, le stesse isti­tu­zioni por­ta­vano le loro pre­vi­sioni al +0,6%. Ma all’inizio dell’estate que­ste dimez­za­vano la cifra, +0,3% come valore più favo­re­vole tra gli esiti pos­si­bili. In Ita­lia, Istat e Banca d’Italia han seguito le pre­vi­sioni inter­na­zio­nali piut­to­sto che quelle gover­na­tive, tanto che son giunte a pro­porre una “for­chetta” che vede un minimo di cre­scita, poco sopra lo 0,2%, come esito più favo­re­vole ed una cre­scita nega­tiva in quello sfa­vo­re­vole. All’orizzonte c’è comun­que lo 0%.
Per il 2014, le pre­vi­sioni errate del governo sul Pil fanno sal­tare le pre­vi­sioni sui due rap­porti defi­cit su Pil e debito su Pil, rispet­ti­va­mente 2,6% e 134,9%. Il primo rischia di oltre­pas­sare il fati­dico 3%, il secondo di avvi­ci­narsi al 140%. Da qui nasce la pos­si­bile ma negata mano­vra cor­ret­tiva nell’ordine di 1,6 miliardi di euro per ogni 0,1 punti per­cen­tuali in meno di cre­scita del Pil, una mano­vra che, se fatta, rischie­rebbe di peg­gio­rare ancor di più lo stato dell’economia reale. Sot­trarre in ragione della fon­data pre­vi­sione di cre­scita 0% altri 10 miliardi di euro alla domanda pub­blica implica chiu­dere l’anno con segno meno, pre­pa­rando un ini­zio 2015 alla depressione.
Se poi con­si­de­riamo che la Com­mis­sione Euro­pea aveva cer­ti­fi­cato che con il Def di aprile 2014 il per­corso verso il rag­giun­gi­mento dell’obiettivo a medio ter­mine del bilan­cio strut­tu­rale in pareg­gio non sarebbe stato assi­cu­rato per il 2015 anche a causa di un eccesso del bilan­cio strut­tu­rale per 0,5 punti per­cen­tuali nel 2014, a set­tem­bre ci verrà chie­sto for­mal­mente di inter­ve­nire subito per con­se­guire l’obiettivo, con ulte­riori tagli nel bilan­cio pub­blico nell’ordine di almeno 5 miliardi di euro.
E ancora non abbiamo con­si­de­rato che la richie­sta del Governo di rin­viare al 2016 il pareg­gio di bilan­cio strut­tu­rale non è stata accolta dalla Com­mis­sione Euro­pea dopo lo svol­gi­mento del Con­si­glio Euro­peo di fine giu­gno, per cui la Legge di Sta­bi­lità 2015 potrà essere segnata non solo da una mano­vra cor­ret­tiva, ma anche dall’imperativo del rag­giun­gi­mento dell’obbiettivo a medio ter­mine con inter­venti addi­zio­nali già in corso d’anno. Ulte­riori miliardi da repe­rire, di ardua quan­ti­fi­ca­zione ora in man­canza di pre­vi­sioni di cre­scita per il 2015 e 2016 — imma­gi­niamo otti­mi­sti­che come di con­sueto — che il Governo for­mu­lerà dopo l’estate con la Nota di aggior­na­mento al Def2014.
Il governo Renzi sem­bra affron­tare tutto ciò con molta, troppa, disin­vol­tura. Pre­val­gono le com­pe­tenze comu­ni­ca­tive e ultime quelle mete­reo­lo­gi­che sulle com­pe­tenze eco­no­mi­che e sociali. Siam ritor­nati dal governo voli­tivo del fare a quello voli­tivo del dire, dal “cam­biare verso” ad un “verso” che quo­ti­dia­na­mente si ripete e che rischia di dive­nire afono molto pre­sto. Ma nep­pure man­cano le dis­so­nanze. Evi­denti quelle sulla spen­ding review, che coin­vol­gono non solo il respon­sa­bile Cot­ta­relli che rischia il dimis­sio­na­mento, ma il Mini­stero dell’Economia e delle Finanze, come il caso di Quota 96 ha lim­pi­da­mente mostrato.
A set­tem­bre il lin­guag­gio di marketing-mediatico di Renzi dovrà con­fron­tarsi con il lin­guag­gio economico-ragionieristico di Padoan. Che pre­valga l’uno o l’altro o si rag­giunga un equi­li­brio tem­po­ra­neo tra i due poco forse cam­bia per l’economia ita­liana. Il rischio è che la poli­tica eco­no­mica rimanga con­tras­se­gnata da un’inso­ste­ni­bile leg­ge­rezza. Fino a dive­nire un’insostenibile vacuità.

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