giovedì 28 agosto 2014

Riforma della scuola: lettera a don Milani di Alex Corlazzoli, Il Fatto Quotidiano

Aula scuola
 
Caro don Lorenzo,
tra qualche giorno suonerà di nuovo la prima campanella e come ogni anno chi ci governa ha pensato ad una riforma. L’ha annunciata da un Meeting di Comunione e Liberazione con tanto di passerella. Vedendo quel palco, mi sono venute in mente le riforme che da Barbiana proponeva lei: “Uno, non bocciare. Due, a quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno. Tre, agli svogliati bisogna dargli uno scopo”. Non so se lei lo sa ma in molte scuole del Sud Italia non c’è ancora il tempo pieno. Migliaia di ragazzi tra i 6 e i 13 anni sono analfabeti: molti vanno a vendere il pane al mercato di Ballarò a Palermo, fanno i meccanici, i garzoni. Si chiama “dispersione scolastica”. Basta fare un giro allo Zen, a Scampia o a Dannisinni, a due passi dal centro storico di Palermo, per incontrare questi ragazzi. Eppure, caro priore, sembra che si siano dimenticati di questa parte del Paese.
In questi giorni, i professoroni e la politica, non fanno altro che parlare di riforma ma noi che a scuola ci stiamo tutti i giorni abbiamo bisogno di continuare ad appassionarci al nostro mestiere. Quando entriamo in classe, vorremmo non preoccuparci del registro, del modulo, del verbalizzare, del vidimare, verificare, della valutazione della scuola ma di promuovere quei ragazzi, di insegnare loro come diventare dei cittadini perché in fondo insegniamo loro italiano perché un giorno possano leggere Pasolini, Sciascia o Moravia. Abbiamo bisogno di libri, di biblioteche per conquistare i nostri ragazzi con l’amore per la letteratura. Non è cambiato molto da quando lei scriveva a quella professoressa: “Giorno per giorno i vostri ragazzi studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro”.
Ma la cosa che mi fa più soffrire sa qual è?
Anche stavolta nessuno parla di Costituzione. Sì, giusto: più musica, più arte, più informatica e inglese ma non ci siamo accorti che i nostri ragazzi nel frattempo non sanno chi sono i fratelli Cervi, non conoscono nulla della storia del nostro Paese, non sanno perché restano a casa il 25 aprile e perché in paese c’è una via che si chiama “Quattro novembre”. A Barbiana leggevate il giornale ogni giorno, a alta voce, di cima in fondo. Qui ci chiedono solo di fare il programma e alla fine dell’anno di quantificare in percentuale quanto ne abbiamo svolto.
Chissà se lei fosse ancora tra noi che ne penserebbe di una scuola dove ai maestri e ai professori non è chiesto quello che sanno fare quando entrano in una classe ma solo di riempire un “buco”. Perché in fondo noi per lo Stato siamo solo numeri. Io, quest’anno, il 64.

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