giovedì 7 agosto 2014

Riforme, battere la semplificazione autoritaria con il referendum di Fabio Marcelli, Il Fatto quotidiano

 
Non c’era da farsi troppe illusioni sulle esigue, sgangherate ed eterogenee forze dell’opposizione. L a semplificazione autoritaria invocata, progettata e messa in opera da Renzi come ricetta miracolistica quanto inconsistente per far fronte ai mali dell’Italia, pare avviata a buon fine. All’approvazione in Senato, con la ciliegina sulla torta costituita dall’estensione delle immunità parlamentare ai settori di casta locale e regionale che ne saranno ammessi a far parte, si aggiunge il patto con Berlusconi, il cui contenuto andrebbe al più presto reso pubblico, come richiesto da alcune interrogazioni parlamentari del Movimento Cinque Stelle.
Occorre a questo punto prepararsi al referendum. Nella consapevolezza che otto anni or sono il popolo italiano respinse un progetto di “riforma” e semplificazione autoritaria altrettanto pericoloso.
Per vincerlo occorre legare la salvaguardia del Senato elettivo (i sondaggi indicano che la maggioranza degli Italiani la pensa in questo modo) con la difesa del modello pluralistico e partecipativo delineato nella Costituzione repubblicana, da sempre visto come fumo negli occhi da chi vuole disciplinare la società e la politica per renderle completamente funzionali al disegno dei poteri forti. Parliamo di un precursore come Licio Gelli, che a suo tempo non si limitò a promuovere il cosiddetto Piano di rinascita nazionale, ma mise lo zampino in oscure trame a carattere apertamente golpista e terrorista. Parliamo degli stati maggiori della finanza internazionale, che da tempo hanno messo all’indice le Costituzioni del dopoguerra, nate in seguito allo slancio democratico derivante dall’abbattimento dei regimi fascisti.
La semplificazione autoritaria (non c’è bisogno di iperboli che possono addirittura risultare controproducenti), va appunto nel senso voluto da tali settori. Consegnando ogni potere al partito di maggioranza relativa (oggi un Pd che ha perduto definitivamente ogni connotazione progressista, domani chissà) e impedendo ogni possibilità di controllo dal basso delle scelte che vengono decise ed attuate. Le polemiche del premier contro i “professoroni”, i “comitatini” e da ultimo il “discussionismo” indicano chiaramente la direzione di marcia e l’obiettivo da conseguire. Così come ovviamente li indicano le scelte concrete perseguite da questo governo.
Un’Italia ridotta a una sorta di enorme Fiat, senza alcun spazio e diritto per i lavoratori, che svende al miglior (o più raccomandato) offerente i suoi residui pezzi di industria, che demolisce ogni servizio pubblico, attuando in modo ferreo (pretestuose e finte polemiche sulla “flessibilità” a parte) il dogma insensato del pareggio di bilancio, assestando nuovi e in parte irreparabili colpi al patrimonio ambientale, culturale e umano del nostro Paese.
Altro che rinascita nazionale. L’Italia appare sempre più in via di liquidazione fallimentare. Sulle macerie della società e dell’economia resteranno a comandare i membri di una supercasta designati con una legge elettorale antidemocratica, che si spartiranno fra loro qualche magro dividendo. La politica internazionale, vadano o meno la Mogherini o D’Alema o chi per loro a ricoprire ruoli europei sprovvisti di effettiva incidenza, resterà totalmente prona agli altrettanto fallimentari desiderata dell’élite occidentale che sta facendo proliferare le guerre e i massacri in varie parti del pianeta.
Se vogliamo contrastare questo disastro, che è in atto da tempo, occorre che il referendum confermativo previsto dalla Costituzione faccia emergere, come nel 2006, una netta maggioranza di contrari, nonostante buona parte delle forze politiche, dal Pd a Forza Italia passando per varie forze cosiddette centriste, siano a favore.
Come già successo in passato, a proposito del divorzio nel 1974, o più di recente per acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, questo referendum appare destinato ad assumere un grande valore simbolico. La posta in gioco va spiegata a tutti e vanno da subito creati i comitati che svolgano questo essenziale lavoro di chiarificazione costituendo al tempo stesso anche gli embrioni dell’altra Italia oggi più che mai necessaria. E un comitato nazionale unitario presieduto dal “professorone” Stefano Rodotà

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