martedì 9 settembre 2014

Governo e leader, sinergie di un assetto —  Massimo Villone, Il Manifesto

Riforme . Dal senato alla pubblica amministrazione, passando per la legge elettorale, Renzi stringe le maglie dell’assetto democratico per un controllo autoritario del malessere sociale
Da Bolo­gna Renzi ci ha ser­vito l’usuale mix di bat­tute e frasi a effetto. Risul­tato elet­to­rale da bri­vidi, la sal­vezza del paese è nelle nostre mani e non in quelle dell’Europa, gli 80 euro in busta paga sono un fatto di equità sociale, egua­glianza e non egua­li­ta­ri­smo, no a modelli cinesi del lavoro, niente lezioni dai tec­nici della I Repub­blica, riforme a ogni costo, basta gufi e così via. L’appuntamento è al 2017. In poli­tica – per non sca­dere nella pub­bli­cità ingan­ne­vole — sarebbe buona cosa non disco­starsi troppo dal già detto e dall’evidenza.
Ber­lu­sconi è stato mae­stro nell’inosservanza di que­sta regola, che in paesi più seri del nostro è para­me­tro per la valu­ta­zione dell’agire poli­tico di chiun­que. Renzi merita un dot­to­rato. L’elenco delle parole e degli annunci smen­titi dai fatti o da lui stesso è lungo. L’unica realtà certa è che i para­me­tri euro­pei riman­gono fermi, e che per rien­trarvi si ren­dono neces­sa­rie misure pesanti, come l’ulteriore blocco degli sti­pendi degli sta­tali. Non basta a giu­sti­fi­carlo la bat­tuta – offen­siva per tanti – che nella pub­blica ammi­ni­stra­zione c’è grasso che cola.
E la tanto auspi­cata fles­si­bi­lità? Al momento, l’unica che si vede in con­creto è quella che si vuole calare sul lavoro. La prova è nei discorsi di Dra­ghi, di Visco, e nelle ripe­tute indi­ca­zioni che ven­gono dal mondo della finanza e degli affari. Lo stesso Renzi ha lodato il modello tede­sco, dimen­ti­can­done il piatto forte: milioni di simil­ci­nesi mini-jobs pre­cari e a salari da fame. La disoc­cu­pa­zione scende nelle sta­ti­sti­che, il costo sociale sale.
Padoan ci dice da Cer­nob­bio che ci vor­ranno almeno tre anni – non più due – per vedere i primi effetti delle riforme. Ma di quali riforme si parla? Quelle con­cre­ta­mente messe in campo fin qui sono volte a ristrut­tu­rare l’architettura dei poteri piut­to­sto che a ripor­tare il paese in un ciclo eco­no­mico vir­tuoso uscendo dalla tena­glia deflazione-recessione. Per­ché? Più che con­tra­stare la crisi, sem­bra che si voglia dise­gnare il paese del post-crisi.
Si coglie un dise­gno negli inter­venti già in discus­sione. Con la riforma costi­tu­zio­nale la rap­pre­sen­ta­ti­vità del par­la­mento si inde­bo­li­sce, con l’azzeramento politico-istituzionale del senato. Si attri­bui­scono al governo poteri sull’agenda dei lavori par­la­men­tari, inclusa una sorta di ghi­gliot­tina per­ma­nente. Gli isti­tuti di demo­cra­zia diretta sono resi ancor meno acces­si­bili. Con la legge elet­to­rale iper-maggioritaria si col­pi­sce la rap­pre­sen­ta­ti­vità della camera, pun­tando tutto sul par­tito che ha più voti e sullo schiac­cia­mento delle oppo­si­zioni, oltre che sull’esclusione dalla rap­pre­sen­tanza dei sog­getti poli­tici minori. La mag­gio­ranza par­la­men­tare è rimessa nelle mani del lea­der, attra­verso liste bloc­cate. Con la riforma della PA una delega legi­sla­tiva vuole tra l’altro raf­for­zare il primo mini­stro nell’ambito dell’esecutivo. Hanno infine un ruolo in que­sto sce­na­rio gene­rale pri­ma­rie aperte che mar­gi­na­liz­zano il ruolo delle orga­niz­za­zioni di par­tito e degli iscritti, men­tre le orga­niz­za­zioni sin­da­cali sono messe nell’angolo esclu­dendo ogni forma di concertazione.
Può darsi che qual­cosa cambi, ma al momento è così. Nes­suno dei punti men­zio­nati sarebbe deci­sivo di per sé. Ma è cru­ciale coglierne la siner­gia, che defi­ni­sce l’effetto ultimo di una forte con­cen­tra­zione del potere sul governo, e in par­ti­co­lare sul lea­der. È il dise­gno di un popu­li­smo fon­dato sul cir­cuito diretto tra lea­der e popolo, senza inter­me­dia­zioni. Il lea­der diventa il paterno custode dei diritti e delle libertà di tutti. È auto­ri­ta­ri­smo soft? In fondo, è que­stione di parole. Di certo, è un dise­gno che ci viene diret­ta­mente dalla I Repub­blica. Se ne coglie l’eco in Craxi negli anni ’80, in Gelli, in Cos­siga, e infine in Ber­lu­sconi. Sono que­sti gli ante­nati del Renzi-pensiero in tema di istituzioni.
Que­sto dise­gno i tec­nici della I Repub­blica mal­me­nati da Renzi – o almeno alcuni – l’avevano ben colto. Lo con­tra­sta­vano per­ché non demo­cra­tico, e cer­ta­mente inco­sti­tu­zio­nale nella sua essenza. La Costi­tu­zione si fonda sul con­cetto che il potere poli­tico deve essere distri­buito, con­ten­di­bile e respon­sa­bile in ogni momento e in ogni sede, non certo iper-personalizzato e assog­get­tato a veri­fi­che perio­di­che su base plu­rien­nale, prima delle quali il prin­ci­pio di fondo è mani libere per chi lo detiene.
È que­sto il modello isti­tu­zio­nale che si ritiene neces­sa­rio e utile per affron­tare la crisi? Con­cen­trare il potere e ridurre la par­te­ci­pa­zione per evi­tare che un popolo troppo sovrano possa sot­to­porre la bar­chetta dell’esecutivo a scos­soni troppo peri­co­losi? Non saremo mai d’accordo. Rima­niamo dell’idea che il miglior modo per affron­tare dif­fi­coltà e sacri­fici con solu­zioni non pre­ca­rie sia quello della discus­sione, del con­fronto e se neces­sa­rio della media­zione e del com­pro­messo. In una parola, la democrazia.
E se il dise­gno fal­lisse? Padoan vor­rebbe ora dall’Europa para­me­tri per misu­rare la pro­pen­sione alle riforme di ogni paese. Ma non ci ave­vano detto che siamo padroni del nostro destino? Suv­via, non è come essere com­mis­sa­riati d’autorità. Noi deci­diamo libe­ra­mente di essere commissariati.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua