martedì 30 settembre 2014

Lo spot ingannevole sul consenso al 40%

renzi-direzione-640L’ottimismo di pla­stica del pre­mier è scosso dalla sco­perta che anche i poteri forti gufano, cer­ti­fi­cando tra l’altro come inu­tili le riforme “epo­cali” già in campo. Renzi veste i panni del cava­liere senza mac­chia e senza paura, e si appella al popolo. Ma il governo è in affanno.
È fal­lita la fon­da­men­tale scom­messa euro­pea, e il seme­stre di pre­si­denza ita­liano scorre nella indif­fe­renza di tutti. Della ago­gnata fles­si­bi­lità non v’è trac­cia, e i fal­chi del nord affi­lano bec­chi ed arti­gli. Arriva invece una stan­gata di una ven­tina di miliardi, che col­pirà anche ser­vizi essen­ziali. La ripresa si allon­tana, i pochi mesi diven­tano mille giorni. Una lunga qua­re­sima, anche per i cre­denti più robusti.
L’Italia del XX secolo, con due guerre mon­diali e 20 anni di fasci­smo, ha saputo affron­tare duri sacri­fici in con­di­zioni ter­ri­bili. E per­fino un son­nac­chioso Prodi ha gal­va­niz­zato il paese sull’entrata nell’euro, bene o male che fosse. Oggi, manca a Renzi un pro­getto com­preso e con­di­viso dal popolo cui si appella. In realtà, un pro­getto Renzi c’è. Ma si volge pri­ma­ria­mente al come man­te­nersi al governo, e non sul che fare con i poteri di governo. Un pro­getto per i gover­nanti, non per i gover­nati. Lo vediamo in fili­grana negli scon­tri sulle riforme isti­tu­zio­nali insieme a quello sul supe­ra­mento dell’art. 18.
Si può mai seria­mente soste­nere che si per­se­guono obiet­tivi di giu­sti­zia sociale ed egua­glianza togliendo i diritti a chi li ha? E per­ché le bar­ri­cate, se l’art. 18 è un pezzo di archeo­lo­gia poli­tica e sin­da­cale che non tutela nes­suno? Se non difende il lavo­ra­tore, nem­meno offende il padrone.
La que­stione dell’art. 18 ha due punti focali: l’indennizzo, e il rein­te­gro nel posto di lavoro. Il governo alza la bar­riera sul secondo, e non sul primo. Per­ché? L’indennizzo ha la valenza indi­vi­duale di un ristoro eco­no­mico per il lavo­ra­tore leso nei suoi diritti. Il rein­te­gro va oltre. Can­cel­larlo signi­fica con­sen­tire al padrone di libe­rarsi dei lavo­ra­tori sco­modi, che tur­bano l’esercizio del potere di comando senza giun­gere a com­por­ta­menti che dareb­bero causa per un licen­zia­mento. Chi oserà mai par­lare sulle con­di­zioni di lavoro, le misure di sicu­rezza, lo sfrut­ta­mento? Chi rischierà di orga­niz­zare i com­pa­gni di lavoro nella pro­te­sta? Si coglie allora che can­cel­lare il rein­te­gro è fun­zio­nale all’espulsione del sin­da­cato. Togliendo l’ostacolo all’allontanamento del mili­tante sin­da­ca­liz­zato, è un colpo alle orga­niz­za­zioni dei lavo­ra­tori. Un dise­gno com­ple­men­tare al pla­teale rifiuto gover­na­tivo della concertazione.
Qui vediamo il nesso con le riforme isti­tu­zio­nali. Si col­pi­sce la rap­pre­sen­ta­ti­vità del par­la­mento, con un senato non elet­tivo, e una legge elet­to­rale che con premi iper­mag­gio­ri­tari e soglie altis­sime toglie voce a milioni di cit­ta­dini e pone osta­coli dif­fi­cil­mente supe­ra­bili ai new­co­mer. Ma col­pire il par­la­mento signi­fica col­pire i sog­getti poli­tici che in esso agi­scono, e tro­vano la sede per rivol­gersi al paese. L’esito ultimo è inde­bo­lire le forme orga­niz­zate della poli­tica, che si chia­mino par­titi, movi­menti o quant’altro. E biso­gna con­si­de­rare che altri colpi sono stati già inferti, con la can­cel­la­zione del finan­zia­mento pub­blico, e il ricorso a pri­ma­rie aperte, incom­pa­ti­bili con qual­siasi modello di par­tito orga­niz­zato. Una pri­ma­ria aperta ha dato a Renzi il potere asso­luto sul Pd, facendo pre­va­lere il voto dei non iscritti su quello degli iscritti. E la sto­ria con­ti­nua con la raf­fi­gu­ra­zione del par­tito come luogo in cui una mag­gio­ranza comanda e una mino­ranza obbedisce.
Vanno nel mirino le orga­niz­za­zioni poli­ti­che e sin­da­cali. La par­tita in atto è inde­bo­lire o azze­rare i corpi inter­medi che la Costi­tu­zione defi­ni­sce come for­ma­zioni sociali entro le quali si svolge la per­so­na­lità (art. 2), oltre che stru­menti di par­te­ci­pa­zione (artt. 3, co. 2, 39, 49). Per que­sto è un pro­getto sul come man­te­nersi al governo. Punta a libe­rare i gover­nanti dalla fasti­diosa incom­benza di tener conto di quello che il paese pensa, nelle sedi in cui si forma una volontà effet­ti­va­mente col­let­tiva, e non in ordine sparso, magari attra­verso una mail gabel­lata come con­sul­ta­zione popolare.
Non basta richia­mare, a soste­gno, le colpe di par­titi e sin­da­cati. Ancor meno basta la pub­bli­cità ingan­ne­vole sul con­senso del 40% del 58% degli aventi diritto nelle ele­zioni euro­pee. È in gioco la par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica assunta in Costi­tu­zione a fon­da­mento della Repub­blica, diret­ta­mente con­trap­po­sta al popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio e lea­de­ri­stico. E il dibat­tito sull’art. 18 nella dire­zione Pd potrebbe avere rilievo oltre la spe­ci­fica questione.
Sono que­ste le pre­oc­cu­pa­zioni che con­du­cono gufi e par­ruc­coni a par­lare di auto­ri­ta­ri­smo stri­sciante. Certo, i poteri forti gufano da destra, e per altri motivi. Renzi ne trae l’orgoglio di non avere padroni, o padrini. Pren­diamo atto. Vogliamo solo essere sicuri che non si senta padrone di noi tutti.

MASSIMO VILLONE
da il manifesto

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