domenica 26 ottobre 2014

Il capitale della sinistra —  Norma Rangeri, Il Manifesto

Tutta mia la città. Forse è que­sta la bella sen­sa­zione che hanno pro­vato le cen­ti­naia di migliaia di per­sone arri­vate ieri nella capi­tale da ogni dove d’Italia. Per­ché c’erano loro, con i canti, gli slo­gan, i sor­risi, i balli, le parole d’ordine, i “cor­doni”, i mega­foni. E intorno il silen­zio di una città serena, anche “com­plice”. Non diremo che è stata una bel­lis­sima gior­nata di sole, né che Roma ha rice­vuto come se niente fosse un popolo immenso. Que­sto lo sanno già tutti per­ché per­sino le tv più filo-renziane hanno dovuto arren­dersi di fronte all’evidenza dei fatti: una mani­fe­sta­zione sin­da­cale, di ragazze e di nonni, di stu­denti e di pre­cari, di lavo­ra­tori e di mili­tanti, di immi­grati e par­tite Iva che ha invaso gio­io­sa­mente, paci­fi­ca­mente le strade romane.
Vediamo invece che cosa la piazza della Cgil ha messo davanti agli occhi di tutti gli italiani.
In primo luogo la ric­chezza della rap­pre­sen­tanza. Mille realtà e infi­niti volti del lavoro rac­con­tati dai car­telli delle cate­go­rie, a indi­care la pre­senza del sin­da­cato anche dove non te lo sare­sti aspet­tato (guar­die gialle, peni­ten­zia­rie…). Una con­ferma, con­for­tante, del radi­ca­mento sociale del sin­da­cato con­tro il luogo comune che lo dipinge come la casta dei burocrati.
Per­ché si è mobi­li­tato il lavoro vivo. Vero. E se doveva essere una prova di forza, l’esito di que­sto 25 otto­bre ci dice che è pie­na­mente riu­scita. Nono­stante le cri­ti­che, tal­volta giu­sti­fi­cate, di vetero sin­da­ca­li­smo, di inca­pa­cità di inclu­dere i più gio­vani e i meno garan­titi, di non avere gli stru­menti per coa­gu­lare intorno a se un’opinione forte e in grado di oltre­pas­sare gli stec­cati sin­da­cali, ebbene ieri la Cgil ha dimo­strato che que­sti limiti non hanno modi­fi­cato i sen­ti­menti più pro­fondi e più forti del sin­da­cato italiano.
Ma quella breve distanza che divide Roma da Firenze, ieri è diven­tata abis­sale. Per­ché men­tre Renzi riven­di­cava a sé e alla Leo­polda la forza di creare lavoro (e sten­diamo un velo su chi ha fatto da con­torno alla corte del gio­vane pre­mier che ama gli yesman), ieri a piazza San Gio­vanni c’era la gente che lavora sul serio, e tanta altra gente che il lavoro lo vor­rebbe con­cre­ta­mente, non solo nei pro­grammi e nelle pro­messe. Per­ché men­tre a Firenze lo spon­sor (e finan­zia­tore) di Renzi, il finan­ziere Serra, soste­neva che andrebbe vie­tato lo scio­pero nel pub­blico impiego (ma non si ver­go­gna un po’ il segre­ta­rio del par­tito demo­cra­tico — ripeto: par­tito demo­cra­tico — ad avere simili sup­por­ter?), qui a Roma sfi­la­vano donne e uomini che recla­ma­vano la tutela di un diritto costituzionale.
E’ pos­si­bile che tra i soste­ni­tori (com­presi par­la­men­tari e mini­stri) molti non con­di­vi­dano i valori rap­pre­sen­tati ieri da quella massa enorme di cit­ta­dini ita­liani. Ed è altret­tanto pro­ba­bile che il distacco tra i due mondi (assai poco vir­tuale) non venga col­mato, se non in parte, da quei poli­tici della sini­stra Pd che a fatica cer­cano di tam­po­nare la deriva libe­ri­sta della più grande forza di centrosinistra.
Ora si va verso lo scio­pero gene­rale. Invo­cato dalla piazza che ha alzato il volume dell’applausometro quando la segre­ta­ria Camusso lo ha evo­cato, insieme alla richie­sta di una patri­mo­niale per gli inve­sti­menti pub­blici. E di fronte all’abbraccio tra Camusso e Lan­dini, di fronte al “par­tito di lotta” che uni­sce tutta la sini­stra del lavoro, Renzi com­met­te­rebbe un grave errore se pen­sasse di cavar­sela con un twit­ter o una bat­tuta. Farebbe meglio a pren­dere atto che ieri, improv­vi­sa­mente — ma non troppo — la parola sini­stra, irrisa e desueta, ha ripreso vita e si è fatta largo in modo pro­rom­pente ricon­qui­stando lo spa­zio sociale, poli­tico, cul­tu­rale che qual­cuno vor­rebbe negarle. Pos­siamo sba­gliarci, ma ven­dendo il cor­teo ci siamo con­vinti che una sini­stra di popolo, con­sa­pe­vole, for­ti­fi­cata dalla capa­cità di resi­stere alla duris­sima prova della crisi, ha ripreso pie­na­mente il suo diritto di cittadinanza.

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