giovedì 20 novembre 2014

Il nuovo soggetto e la coalizione sociale —  Guido Viale, Il Manifesto

Sinistra. A Bruxelles, come nelle elezioni locali, le liste di Altra Europa si presentano agli elettori come alternativa a chi propone di "amministrare bene" l’austerità
L’Altra Europa è nata met­tendo in campo alcune idee: la cen­tra­lità dell’Europa per qual­siasi pro­cesso di tra­sfor­ma­zione poli­tica, il rifiuto dell’austerità e la neces­sità di ripu­diare il debito, l’inclusione nei con­fronti di migranti e mino­ranze di ogni genere, la con­ver­sione eco­lo­gica come unica pro­spet­tiva per affron­tare la crisi ambien­tale e quella eco­no­mica e occu­pa­zio­nale, il carat­tere apar­ti­tico della lista (con­fer­mato dall’esclusione della can­di­da­tura di rap­pre­sen­tanti già eletti o per­sone con ruoli di spicco nei par­titi); poi rac­co­gliendo ade­sioni intorno a que­sta piat­ta­forma e immer­gen­dosi nella società – nelle piazze, nelle assem­blee, nei luo­ghi di lavoro — per rac­co­gliere le firme e farsi cono­scere; infine gestendo senza mezzi una cam­pa­gna elet­to­rale affi­data quasi solo a incon­tri diretti e al passaparola.
Dopo il 25 mag­gio, con il mode­sto suc­cesso otte­nuto, occor­reva valo­riz­zare i legami messi a dispo­si­zione dal suo ingresso nel Par­la­mento euro­peo e nel GUE e, anche gra­zie ad essi, met­tere quella piat­ta­forma alla prova sia dei pro­blemi, nazio­nali e locali, posti all’ordine del giorno dallo svi­luppo degli avve­ni­menti, sia dei rap­porti con le orga­niz­za­zioni, di base e non, locali e nazio­nali, che non ave­vano preso parte, o ave­vano guar­dato con dif­fi­denza, a quel per­corso. Entrambe que­ste cose sono state fatte poco e male, inca­gliando l’organizzazione in una vana con­trap­po­si­zione tra l’impegno a man­te­ner vivo l’orizzonte euro­peo del pro­getto e la neces­sità di misu­rarsi con le emer­genze, anche e soprat­tutto locali, del “fare poli­tica” giorno per giorno. Di que­sto con­tra­sto la disputa sull’opportunità di pre­sen­tare liste regio­nali che si richia­mano espli­ci­ta­mente all’Altra Europa è stata forse il centro.
L’Altra Europa non si è pre­sen­tata in Europa, né si pre­sen­terà in Ita­lia, o si pre­senta in qual­che Regione o in qual­che Comune, per “ammi­ni­strare bene” l’austerity: cioè la mise­ria che poli­ti­che decise altrove ci impon­gono (que­sto è l’approccio che ha affon­dato l’esperienza dei sin­daci aran­cioni); bensì per­ché i par­la­men­tari, i con­si­glieri ed even­tual­mente i sin­daci eletti si fac­ciano stru­mento di aggre­ga­zione per le mobi­li­ta­zioni con­tro di essa. Per que­sto le liste regio­nali che si rifanno all’Altra Europa, oggi in Emi­lia Roma­gna e in Cala­bria, sono parte inte­grante del pro­cesso di pro­mo­zione di un sog­getto poli­tico nuovo, indi­pen­den­te­mente dai risul­tati che con­se­gui­ranno, e a cui occor­re­rebbe lavo­rare per­ché siano posi­tivi. Quelle liste sono una com­po­nente della costru­zione di un pro­gramma gene­rale; che non è solo enun­cia­zione di obiet­tivi, ma anche ricerca e veri­fica della loro effi­ca­cia nel pro­muo­vere mobi­li­ta­zione e radi­ca­mento sociale.
Oggi il discri­mine tra chi governa e chi ne com­batte modi e obiet­tivi attra­versa il nesso tra crisi ambien­tale ed eco­no­mica: è la con­ver­sione eco­lo­gica come com­bi­na­zione irri­nun­cia­bile delle rispo­ste a entrambe quelle crisi. L’establishment euro­peo e ita­liano, ma anche la gover­nance glo­bale, si tro­vano da tempo senza una stra­te­gia di ampio respiro, limi­tan­dosi a rap­pez­zare giorno per giorno i gua­sti che essi stessi pro­du­cono. Puntano a com­pri­mere red­diti e diritti della popo­la­zione al limite della sus­si­stenza (e anche oltre), a distrug­gere lo stato sociale e a pri­va­tiz­zare tutto l’esistente, a par­tire da quanto resta di natura, patri­mo­nio sto­rico, beni comuni e ser­vizi pub­blici. Ma que­sti obiet­tivi non con­fi­gu­rano un assetto sociale sta­bile; sono la som­ma­to­ria di spinte e inte­ressi discor­danti che mal si com­bi­nano insieme, tanto da susci­tare stati di caos e di bel­li­ge­ranza armata per­ma­nente, ormai evi­denti tanto nell’economia euro­pea che nei nuovi tea­tri di guerra. Un caos che è stato sì pro­vo­cato da sog­getti e inte­ressi ben iden­ti­fi­cati; ma che è da loro sem­pre di più subìto e non agìto. Che cosa pos­sono pro­met­tere alle popo­la­zioni di cui devono comun­que otte­nere il con­senso, per lo meno pas­sivo? Solo il ritor­nello di una “cre­scita” che né arriva né risol­ve­rebbe alcun­ché. E che cosa pos­siamo invece pro­spet­tare noi, con la con­ver­sione eco­lo­gica? Una strada sen­sata per affron­tare i nodi della nostra epoca, da per­cor­rere com­bi­nando par­te­ci­pa­zione e con­flitto “passo dopo passo”, soste­nendo occu­pa­zione, red­dito, inclu­sione, soste­ni­bi­lità, salute, con­vi­venza e sal­va­guar­dia del patri­mo­nio pro­fes­sio­nale e impian­ti­stico del tes­suto pro­dut­tivo. E’ innan­zi­tutto un con­fronto cul­tu­rale — da con­durre giorno per giorno, misu­ran­dosi con i pro­blemi della vita di cia­scuno — che va tra­dotto in parole sem­plici, che devono tor­nare a cir­co­lare come buon senso diffuso.
Per que­sto occorre aprirsi di più alle varie­gate com­po­nenti del tes­suto sociale. La società ita­liana è con­tras­se­gnata da una mol­te­pli­cità di ini­zia­tive che non ha il pari in Europa: a parte i par­ti­tini (solo quelli comu­ni­sti sono più di dieci, molti dei quali divisi in cor­renti e fra­zioni. Troppa gra­zia!) e i sin­da­cati di base (anch’essi in ser­rata com­pe­ti­zione tra loro, ma con un pro­prio radi­ca­mento sociale) ecco ovun­que comi­tati e asso­cia­zioni ambien­ta­li­ste, civi­che, cul­tu­rali, orga­niz­za­zioni di migranti, cir­coli ricrea­tivi e spor­tivi social­mente impe­gnati, movi­menti per la casa e occu­pa­zioni di edi­fici pub­blici e pri­vati, reti di stu­denti, di inse­gnanti, di ricer­ca­tori, di pre­cari, di medici e infer­mieri, di con­ta­dini, liste civi­che, Rsu e la loro rete con­tro la legge For­nero, ammi­ni­stra­zioni di comuni vir­tuosi, Gas e Des, coo­pe­ra­tive sociali, comu­nità cri­stiane di base e per­sino par­roc­chie, cen­tri sociali, rivi­ste ed emit­tenti libere, asso­cia­zioni fem­mi­ni­ste, ecc. Non c’è un “prato verde”, ma una miriade di entità che hanno iden­tità, sto­rie ed ela­bo­ra­zioni pro­prie: spesso molto svi­lup­pate. Come rap­por­tarsi nei con­fronti di tutte que­ste realtà per for­mare con esse una “coa­li­zione sociale”? Si pos­sono igno­rare? Cer­ta­mente no. Si pos­sono inglo­bare? Nean­che. Si pensa forse di reclu­tarne i mem­bri senza fare i conti con dif­fe­renze e diver­genze che le hanno tenute lon­tane dall’Altra Europa? Sarebbe vano e arro­gante. Con cia­scuna di que­ste entità — per lo più orga­niz­za­zioni locali, diverse da un luogo all’altro — occorre affron­tare un con­fronto alla pari, che metta in discus­sione con­vin­zioni, ela­bo­ra­zioni e pra­ti­che di entrambe le parti, pun­tando a pro­muo­vere ini­zia­tive comuni sui temi che già ci uni­scono. La piazza del 25 otto­bre ha cer­ta­mente messo in evi­denza un popolo alla ricerca di una pro­pria rap­pre­sen­tanza poli­tica; ma è una ruolo che non si con­qui­sta esi­bendo solo pro­grammi gene­rali, bensì pezzo per pezzo, attra­verso ini­zia­tive comuni con cia­scuna delle sue arti­co­la­zioni: un lavo­rìo che ha poco a che fare con le dispute o gli accordi – senza niente togliere alla loro impor­tanza — con le diri­genze dei par­titi che hanno soste­nuto o che ancora sosten­gono il pro­getto dell’Altra Europa.

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