venerdì 21 novembre 2014

Indignados continentali a doppia velocità di Paolo Gerbaudo , Il Manifesto




Di fronte all’aggravarsi della crisi eco­no­mica, uno sguardo ai movi­menti di pro­te­sta che lot­tano con­tro l’austerità offre l’immagine di un’Europa a due velo­cità. Un’espressione abu­sata da eco­no­mi­sti e poli­to­logi, per par­lare dei diversi livelli di pro­dut­ti­vità eco­no­mica e inte­gra­zione poli­tica dei paesi euro­pei, ma che cat­tura bene la distanza tra paesi in cui i movi­menti di pro­te­sta hanno con­qui­stato il con­senso della mag­gio­ranza della popo­la­zione, e altri in cui con­ti­nuano a rin­ser­rarsi in uno spa­zio minoritario.
Da un lato ci sono Spa­gna e Gre­cia, che a par­tire dall’ondata del 2011, hanno assi­stito a una tra­iet­to­ria impres­sio­nante di mobi­li­ta­zioni cit­ta­dine, e in cui la forza dei movi­menti sta sof­fiando vento nelle vele dei par­titi di sini­stra, come il neo­nato Pode­mos in Spa­gna e la rima­neg­giata Syriza in Gre­cia, che adesso si gio­cano la pos­si­bi­lità di con­qui­stare il governo. Dall’altro lato ci sono una serie di paesi come Ita­lia, Ger­ma­nia, Fran­cia e Gran Bre­ta­gna, dove se le mani­fe­sta­zioni di pro­te­sta con­tro l’austerità non man­cano, sono ben lon­tane da con­qui­stare quell’appoggio mag­gio­ri­ta­rio, gua­da­gnato dagli indi­gna­dos in Spa­gna e dagli aga­nak­ti­sme­noi in Grecia.
La Spa­gna è fuor di dub­bio il paese guida nella clas­si­fica della pro­dut­ti­vità di movi­mento negli ultimi anni in Europa. A par­tire dalla nascita degli indi­gna­dos nel mag­gio 2011, il paese ha vis­suto un livello spa­smo­dico di mobi­li­ta­zioni di pro­te­sta. Dalle “maree cit­ta­dine” con­tro i tagli del governo alla cam­pa­gna con­tro gli sgom­beri abi­ta­tivi, fino a una fio­ri­tura di asso­cia­zioni, media alter­na­tivi e cam­pa­gne legali dal basso con­tro i poli­tici cor­rotti. È in que­sto con­te­sto di impres­sio­nante forza dei movi­menti sociali che biso­gna leg­gere la spet­ta­co­lare cre­scita di Pode­mos, ora primo par­tito secondo i son­daggi, come pure il dispie­garsi di ini­zia­tive muni­ci­pa­li­ste, come Gane­mos a Madrid, e Gua­nyem a Bar­cel­lona, liste civi­che par­te­ci­pa­tive, attra­verso cui i movi­menti pun­tano a con­qui­stare diret­ta­mente i governi locali, senza la media­zione di alcun partito.
La Gre­cia segue a ruota. Dopo le accam­pate degli aga­nak­ti­sme­noi («indi­gnati» in greco), il paese ha visto la nascita di varie ini­zia­tive di pro­te­sta con­tro i tagli alla spesa pub­blica, nuove forme di asso­cia­zio­ni­smo locale, cam­pa­gne di soli­da­rietà con i migranti e occu­pa­zioni di fab­bri­che. Il rap­porto del movi­mento con Syriza è più pro­ble­ma­tico di quello degli indi­gna­dos con Pode­mos, dato che Syriza è un par­tito più clas­sico e più buro­cra­tico. Ma anche in que­sto caso la ragione della cre­scita elet­to­rale del par­tito di Ale­xis Tsi­pras, dato come vin­cente in pro­ba­bili ele­zioni anti­ci­pate nel 2015, è il risul­tato del vasto con­senso che i movi­menti hanno saputo creare in un paese mas­sa­crato dalle poli­tica di austerità.
A larga distanza seguono tutti gli altri paesi euro­pei, in cui o i “movi­menti delle piazze” sono morti nella culla, come è suc­cesso in Ita­lia con la déba­cle del 15 otto­bre 2011, o hanno fatto appena capo­lino, come in Gran Bre­ta­gna dove il movi­mento Occupy è stato molto più debole rispetto ai cugini sta­tu­ni­tensi. Certo, segnali di atti­vità anche in que­sti paesi non man­cano. In Ita­lia la forza del movi­mento per la casa, la grande par­te­ci­pa­zione nella mani­fe­sta­zione della Cgil del 25 otto­bre e nello scio­pero sociale del 14 novem­bre offrono qual­che spe­ranza. In Ger­ma­nia, Bloc­kupy, un gruppo che ha lan­ciato diverse pro­te­ste con­tro la Banca cen­trale euro­pea, pro­mette di gua­stare la festa per l’inaugurazione della nuova sede della Bce a Fran­co­forte. In Gran Bre­ta­gna, la People’s Assem­bly negli ultimi anni ha ricom­po­sto il fronte della sini­stra con­tro l’austerità. In Fran­cia, già «paese clas­sico della lotta di classe» secondo Marx, testi­mone in anni recenti di impor­tanti mobi­li­ta­zioni come quella del 2006 con­tro il Cpe, i movi­menti con­tro la crisi eco­no­mica si sono dimo­strati sor­pren­den­te­mente deboli, anche se negli ultimi giorni una mobi­li­ta­zione sin­da­cale ha preso di mira i tagli al bilan­cio ordi­nati da un delu­dente Fran­cois Hollande.
Quello che con­ti­nua a man­care in que­sti paesi, anche in quelli in cui i movi­menti di pro­te­sta appa­iono rela­ti­va­mente più attivi, è quello spi­rito popo­lare, e in senso posi­tivo popu­li­sta, che ha per­messo ai movi­menti in Spa­gna e Gre­cia di con­qui­stare il con­senso della mag­gio­ranza della popo­la­zione e creare le basi per una con­qui­sta del potere sta­tale. 
 Invece di inno­vare pra­ti­che e lin­guaggi per capi­ta­liz­zare sul dis­senso cre­scente di ampie fasce della popo­la­zione, in que­sti paesi ci si con­ti­nua ad aggrap­pare alla tra­di­zione, come se il 2011 non fosse mai suc­cesso. O si ricorre alle tat­ti­che della poli­tica anta­go­ni­sta in stile no-global o ci si affida al clas­sico cor­teo sin­da­cale. Pra­ti­che che mobi­li­tano diversi set­tori della sini­stra orga­niz­zata, auto­noma o isti­tu­zio­nale che essa sia, ma inca­paci di gua­da­gnare seguito nella massa dei disor­ga­niz­zati e dei non rap­pre­sen­tati, della classe media deca­duta, della classe lavo­ra­trice immi­se­rita, e dei nuovi poveri che costel­lano il pae­sag­gio della Grande Reces­sione, e rischiano di diven­tare base di con­senso per la destra.
Le ragioni per que­sta Europa di movi­mento a due velo­cità sono mol­te­plici. Spa­gna e Gre­cia, i paesi guida per i movi­menti anti-austerità, sono non a caso anche quelli in cui gli effetti sociali della crisi si sono fatti sen­tire in maniera più esplo­siva, con un quarto della popo­la­zione e metà dei gio­vani senza lavoro. Negli altri paesi, gli effetti della crisi si sono fatti avver­tire in maniera rela­ti­va­mente più lenta e mode­rata, o per­chè attu­titi da uno stato sociale piu gene­roso come in Fran­cia e Gran Bre­ta­gna, o per una con­giun­tura eco­no­mica migliore come in Ger­ma­nia, o per il modo in cui i risparmi delle fami­glie hanno tem­po­ra­nea­mente fatto da cusci­netto al disa­gio sociale, come in Italia.
Tut­ta­via il distacco tra Spa­gna e Gre­cia e tutto il resto ha anche a che fare con que­stioni poli­ti­che e cul­tu­rali. Come soste­nuto da Lorenzo Zam­poni, in Ita­lia è stata la pre­senza ingom­brante di gruppi orga­niz­zati ere­di­tati dall’era no-global uno dei fat­tori che ha osta­co­lato la nascita di un movi­mento stile indi­gna­dos. Ma per pas­sare da un’attitudine difen­siva a un’ambizione mag­gio­ri­ta­ria, in Ita­lia come in altri paesi, è man­cata pure una risorsa che è stata invece alla base della nascita degli indi­gna­dos in Spa­gna e degli aga­nak­ti­sme­noi in Gre­cia. È una cosa rias­sunta dalla ambi­va­lente parola spa­gnola «ilu­sion», spesso usata dagli atti­vi­sti ibe­rici per spie­gare lo spi­rito delle loro recenti mobi­li­ta­zioni, che signi­fica al tempo stesso «illu­sione» ed «entu­sia­smo» per le cose future. Quanto serve per scon­fig­gere la ras­se­gna­zione e inven­tare nuove forme di pro­te­sta all’altezza di tempi di emer­genza eco­no­mica e sociale.

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