domenica 30 novembre 2014

La missione di Alberto Garzón di Jacopo Rosatelli, Il Manifesto


La missione di Alberto Garzón


Spagna. Intervista al candidato di Izquierda unida alle primarie di febbraio per la premiership: «Mi batto per una sinistra forte e presente nelle città e nei luoghi di lavoro». Podemos? «Ha una calcolata ambiguità ideologica e le manca presenza strutturata sul territorio»
Ha scelto l’Italia per la sua prima «mis­sione inter­na­zio­nale» da quando è il can­di­dato «forte» alle pri­ma­rie di Izquierda unida (Iu) pre­vi­ste a feb­braio. Lo spa­gnolo Alberto Gar­zón (appena 29 anni, ma già lea­der vero) è a Roma, capi­tale per un giorno della sini­stra euro­pea che com­batte la «grande coa­li­zione» al governo a Bru­xel­les. Il mes­sag­gio di piazza Far­nese è chiaro: quella con­tro le poli­ti­che di auste­rità è una bat­ta­glia comune, che nes­sun Paese può vin­cere da solo. E per cam­biare i rap­porti di forza ser­vono nuovi equi­li­bri nel Con­si­glio euro­peo, dove sie­dono i primi mini­stri: ser­vono, cioè, nuove mag­gio­ranze di sini­stra negli stati attual­mente ammi­ni­strati dalle destre. Come la Spa­gna, «allievo modello» molto apprez­zato dalla can­cel­liera tede­sca Angela Mer­kel e da molti com­men­ta­tori main­stream: «Si dice che noi spa­gnoli siamo usciti dalla crisi, ma non è vero. I fon­da­men­tali dell’economia con­ti­nuano a essere deboli: la pre­sunta ripresa si basa su lavoro pre­ca­rio, abbas­sa­mento dei salari ed emi­gra­zione, che non sono con­di­zioni per uscire dalla crisi. Non basta un lieve aumento del pil in un tri­me­stre: il pil aumen­tava anche nel 2009 e sap­piamo com’è andata», sostiene Garzón.
Qual è il signi­fi­cato poli­tico fon­da­men­tale della sua par­te­ci­pa­zione alle pri­ma­rie per desi­gnare il can­di­dato pre­mier di Iu?
In un momento di emer­genza sociale come quello che viviamo serve uno stru­mento per cam­biare la società: può essere solo una sini­stra orga­niz­zata e solida, anche ideo­lo­gi­ca­mente, come Iu. Serve, però, un rin­no­va­mento che signi­fi­chi più movi­mento e meno par­tito tra­di­zio­nale, meno buro­cra­zia: per que­sto mi can­dido. Tengo a dire che le pri­ma­rie sono impor­tanti, per­ché ali­men­tano la par­te­ci­pa­zione di per­sone nuove, ma non sono suf­fi­cienti: ser­vono soprat­tutto a sta­bi­lire un rap­porto fra base e lea­der­ship in modo tale che quest’ultima si senta sem­pre vin­co­lata a rap­pre­sen­tare la volontà dei mili­tanti. Per que­sto è molto impor­tante che le pri­ma­rie si svol­gano in con­di­zioni di garan­zia. Per inten­derci: non vogliamo che un grande impren­di­tore possa inve­stire soldi per fare eleg­gere un can­di­dato amico…
Lei parla di una sini­stra «orga­niz­zata e solida, anche ideo­lo­gi­ca­mente»: è un’allusione al fatto che Pode­mos non lo è?
In un momento di crisi come l’attuale, il ter­reno sotto i nostri piedi si sta muo­vendo a gran velo­cità: la scom­po­si­zione sociale che viviamo fa sì che le per­sone cer­chino pro­te­zione sociale. La rispo­sta può arri­vare da una sini­stra orga­niz­zata oppure fluida. A mio giu­di­zio Pode­mos è una for­mi­da­bile mac­china elet­to­rale, ma ha una cal­co­lata ambi­guità ideo­lo­gica e le manca pre­senza strut­tu­rata sul ter­ri­to­rio. Si può avere la forza per un buon risul­tato elet­to­rale, ma se manca orga­niz­za­zione nella società e chia­rezza nei pro­grammi non si rie­sce a cam­biare dav­vero le cose. Per que­sto io mi batto per una sini­stra forte e pre­sente nelle città e nei luo­ghi di lavoro, che fac­cia vera lotta per l’egemonia.
Eppure i diri­genti di Pode­mos dicono di ispi­rarsi a Gramsci…
La loro classe diri­gente è fatta di per­sone molto pre­pa­rate, con le quali ho un ottimo rap­porto, anche di ami­ci­zia per­so­nale. Il punto è che loro inter­pre­tano Gram­sci attra­verso Erne­sto Laclau, teo­rico del popu­li­smo di sini­stra, e quindi sosten­gono che non c’è più la lotta di classe. Io la penso diver­sa­mente: non ci sono sem­pli­ce­mente ric­chi e poveri, ma diverse classi sociali. Da que­sta diversa let­tura deriva una con­se­guenza impor­tante: io non credo che basti vin­cere le ele­zioni per pren­dere il potere. Il governo e il potere non sono la stessa cosa. In ogni caso, non voglio negare che siano molto bravi a rac­co­gliere l’indignazione popo­lare: è un loro grande merito che va riconosciuto.
Da più parti si è inter­pre­tata la sua can­di­da­tura come pre­lu­dio a una con­ver­genza con Pode­mos, ma le dif­fe­renze fra voi non mancano…
Voglio essere chiaro. Den­tro Iu c’è chi è a pro­prio agio con le pic­cole per­cen­tuali o con l’isolamento modello comu­ni­sti greci del Kke: io no. A me inte­ressa cam­biare la società, e per que­sto non con­di­vido le posi­zioni con­ser­va­trici, di ripie­ga­mento, che esi­stono anche nel mio movi­mento. Io voglio lot­tare per vin­cere, gio­care all’offensiva, e quindi dia­lo­gare e col­la­bo­rare con altre forze poli­ti­che: l’obiettivo è costruire una con­ver­genza attorno a un pro­gramma. E i pro­grammi di Iu e Pode­mos sono molto simili. Al momento, però, regi­stro che Pode­mos intende pre­sen­tarsi da solo al voto del pros­simo anno per­ché non intende «con­ta­mi­narsi» con gli ele­menti clas­sici della sini­stra: stanno costruendo una mac­china elet­to­rale che dice di non essere né di destra né di sini­stra. E per noi è un errore: se vinci le ele­zioni sulla base di una piat­ta­forma volu­ta­mente ambi­gua, poi cosa fai? Un altro errore è pren­der­sela indi­stin­ta­mente con ’la casta’: la cor­ru­zione è prima di tutto un feno­meno eco­no­mico, non solo politico.
Met­tiamo da parte le sin­gole forze poli­ti­che, e imma­gi­niamo che tra un anno in Spa­gna ci sia un governo di sini­stra: cosa potrà cam­biare, tenendo conto dei con­di­zio­na­menti di Ber­lino e Bruxelles?
L’Unione euro­pea è il para­diso delle ban­che, non delle per­sone: il denaro è più libero della gente. Per que­sto è ovvio che vin­cere in uno stato non è suf­fi­ciente per tra­sfor­mare la realtà: non c’è dub­bio. Ciò non toglie che è fon­da­men­tale farlo, e aggiungo: anche a livello locale, muni­ci­pale. In primo luogo per ragioni sim­bo­li­che: le rivo­lu­zioni si nutrono anche di ele­menti emo­tivi, come dimo­stra la acam­pada di Puerta del Sol del movi­mento 15-M. La forza sim­bo­lica di quell’evento la si è vista dopo: si è mani­fe­stata nelle mobi­li­ta­zioni grandi e con­ti­nua­tive degli anni suc­ces­sivi, che sareb­bero state impos­si­bili senza quel sim­bolo. Oltre a ciò, con­tano natu­ral­mente i rap­porti di forza: e noi spa­gnoli, come tutti i Paesi debi­tori, dob­biamo capire che nei con­fronti della Ue abbiamo il col­tello dalla parte del manico. Il motivo è sem­plice: il nostro debito è un pro­blema delle ban­che tede­sche e fran­cesi. Diceva Bre­cht: ’Se hai un debito di 10mila dol­lari è affar tuo, ma se è di un milione è un pro­blema delle ban­che’. La can­cel­liera Mer­kel smet­terà di imporre all’Europa la poli­tica di auste­rità quando saranno le ban­che del suo Paese a chie­der­glielo: e que­sto acca­drà quando i governi dei Paesi della «peri­fe­ria» Ue cam­bie­ranno atteg­gia­mento e rove­sce­ranno sulle ban­che il pro­blema del debito.

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