lunedì 29 dicembre 2014

In difesa si perde sempre di Alessandro Gilioli


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In un’intervista a Federico Fubini di ‘Repubblica’, l’economista renziano Yoram Gutgeld anticipa la fase due: «Per ora non potevamo, ma l’anno prossimo vogliamo affrontare una legge di rappresentanza sindacale che permetta alle aziende di facilitare i negoziati di secondo livello. È fondamentale che un’azienda in crescita possa offrire di più ai suoi lavoratori». E – chiede Fubini – che una in crisi possa offrire di meno? «Anche, se serve a evitare i licenziamenti», risponde Gutgeld.
Et voila: questo accade, quando si gioca solo in difesa, quindi si prendono gol. Appena ne ha segnato uno, la squadra avversaria vuole farne subito un altro. Sicché, ottenuto il licenziamento facile, si parte verso lo svuotamento dei contratti nazionali: agli imprenditori più furbetti o avidi – non pochi, purtroppo, in Italia – non costerà fatica dirottare liquidità in qualche altra azienda o semplicemente altrove, piangere miseria e ottenere stipendi più bassi.
Il tutto in un Paese, uno dei pochi in Occidente, dove non esiste una legge che stabilisca la paga minima oraria: quindi l’asticella del salario potrà nel caso essere abbassata indefinitamente verso il pochissimo, sempre con l’alibi del “sennò dobbiamo licenziare”.
Questo accade, dicevo, quando si gioca solo in difesa. Quando ci si trincera a difendere pezzetti e pezzettini, “abbiamo evitato danni peggiori”, “abbiamo fatto passare un buon emendamento”, “abbiamo votato la legge altrimenti arrivava la Troika”.
Chissà se sono balle in cattiva fede o è stupidità congenita, antica attitudine alla mediazione al ribasso.
Di fronte al Jobs Act – lo capisce anche un ragazzino – la battaglia non andava condotta per “migliorarlo”, per “temperarlo”, ma spostando tutto il dibattito (politico, mediatico, parlamentare) su un altro piano: reddito minimo garantito universale, diritto alla riqualificazione professionale gratuita, salario orario minimo, introduzione del reato di molestie morali e di pressioni psicologiche di qualunque dirigente verso un sottoposto in qualsiasi organizzazione aziendale (unico deterrente al nuovo clima che da domani respireranno i dipendenti assunti con i nuovi contratti), norme severe contro i falsi tirocini e i falsi stage (lo sapete che il giorno di Natale, nella profumeria della stazione Termini, lavorava una ragazza con il cartellino con il nome di battesimo e la qualifica “stagista”? il giorno di Natale?). E molto altro, naturalmente: per esempio tasse di successione, che le nostre sono tra le più basse del mondo, e pure se da una riforma di tipo vagamente scandinavo si incassassero solo poche decine di milioni l’anno sarebbe comunque un bel segnale in controtendenza.
Ciccia.
Abbiamo la destra economica più vorace d’Europa: Sacconi, Ichino, Gutgeld. E la sinistra più incapace di risponderle. Sul piano culturale e politico, quindi anche su quello di mobilitazione delle persone, qua fuori. Persone che su temi come garanzie universali, salario orario minimo, diritto al rispetto dei subalterni nei rapporti di lavoro e proibizione delle forme più estreme di sfruttamento si sentirebbero con ogni probabilità molto più coinvolte rispetto al triste e perdente gioco in difesa per rendere un po’ meno violento il Jobs Act.

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