venerdì 27 marzo 2015

Quel che può il sindacato. Commento di Piero Bevilacqua



Quella parte del gruppo diri­gente della Cgil che dis­sente da Mau­ri­zio Lan­dini per la costi­tu­zione di una Coa­li­zione sociale — ancor­ché lo fac­cia per com­pren­si­bili ragioni — dovrebbe farsi un esame di coscienza. Viene infatti spon­ta­neo chie­dersi, di fronte agli sforzi del segre­ta­rio della Fiom di porre argini a una situa­zione di estrema gra­vità di tutto il mondo del lavoro, quali ini­zia­tive abbia preso, quali pro­po­ste di mobi­li­ta­zione e di lotta abbia avan­zato negli ultimi sette ter­ri­bili anni la Cgil.
Per­ché, biso­gna ricor­darlo, il periodo che va dal 2008 ad oggi, non è stato di ordi­na­ria sto­ria del mondo.
L’Italia, se esclu­diamo le due guerre mon­diali, non aveva mai cono­sciuto, nella sua sto­ria uni­ta­ria, una così estesa ridu­zione della sua base pro­dut­tiva, un crollo così rovi­noso dell’occupazione, un dila­gare con­ti­nuo e senza argini della povertà e della dispe­ra­zione sociale. Eppure, un osser­va­tore stra­niero che fosse vis­suto in Ita­lia in que­sti anni dif­fi­cil­mente avrebbe imma­gi­nato che nel nostro paese opera uno dei più anti­chi e potenti sin­da­cati dell’Occidente. Ma, senza voler qui aprire un infi­nito rosa­rio di recri­mi­na­zioni, occor­re­rebbe almeno ricor­dare che l’inerzia e il silen­zio del sin­da­cato hanno non poco favo­rito l’iniziativa dei novatori.
Renzi si è pre­sen­tato come il difen­sore dei gio­vani e dei pre­cari, con l’iniziativa del Jobs Act. Può bastare uno scio­pero gene­rale a fer­marlo? Chi ha per­messo che l’iniziativa di riforma del mer­cato del lavoro venisse ispi­rata dalla Con­fin­du­stria? Eppure dovrebbe essere evi­dente che oggi l’avversario di classe –ripri­sti­niamo que­sto ter­mine di verità nel lin­guag­gio della poli­tica– ha capito il gioco che il sin­da­cato (e la sini­stra) stenta a capire. Alla buli­mia con­su­mi­stica dei cit­ta­dini del nostro tempo occorre dare in pasto sem­pre nuovi pro­dotti. Basta che siano nuovi all’apparenza. Se poi il nuovo che si impone demo­li­sce anti­chi diritti, cosa importa, visto che que­sto è il suo auten­tico fine? L’importante è «andare verso il futuro».
Lo Sta­tuto dei lavo­ra­tori? Ma è roba del 1970, un edi­fi­cio obso­leto. Figu­ria­moci la Costi­tu­zione, che è del lon­ta­nis­simo 1948! Volete met­tere il Jobs Act, un pro­dotto nuo­vis­simo, per giunta in sma­gliante lin­gua inglese, la lin­gua cor­rente dei nostri ope­rai e impiegati?
La men­zo­gna pub­bli­ci­ta­ria che oggi ispira la poli­tica rivela, fra le altre cose, come il con­flitto insonne che i poteri eco­no­mici e finan­ziari muo­vono con­tro i lavo­ra­tori per­se­gue sem­pre più l’innovazione sim­bo­lica e cerca di rag­giun­gere pub­blici vasti. Per­ciò restare fermi, silen­ziosi, den­tro i luo­ghi di lavoro o i pro­pri uffici, come ha fatto la Cgil in molte occa­sioni, in difesa dell’esistente, dei vec­chi e con­so­li­dati diritti, ha por­tato e por­terà a con­ti­nue scon­fitte. Certo, la con­di­zione della Cgil e di tutti i sin­da­cati del mondo oggi è ter­ri­bil­mente dif­fi­cile. Si è eclis­sata nei par­la­menti la forza poli­tica amica, i par­titi comu­ni­sti o social­de­mo­cra­tici. Gli impren­di­tori e i finan­zieri pos­sono aprire aziende, spo­stare capi­tali in ogni angolo del pia­neta. I lavo­ra­tori e i sin­da­cati sono inchio­dati nel ter­ri­to­rio delle nazioni. Ma che cosa è stato ten­tato per inco­min­ciare a fron­teg­giare una asim­me­tria così grave e penalizzante?
Ho spesso ricor­dato che l’Organizzazione Inter­na­zio­nale del Lavoro (ILO) è stata fon­data nel 1919 ed è ancora in vita, ma come un mode­sto uffi­cio studi. Eppure era nata come un gene­roso pro­getto uni­ver­sale della poli­tica occi­den­tale dopo la Grande Guerra, in difesa della classe che pro­du­ceva la ric­chezza di tutti i paesi. Oggi guida invece le sorti del mondo il Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale, nato nel 1945. Eppure nes­suno osserva che die­tro ad esso c’è solo l’interesse di alcune migliaia di ban­chieri, die­tro l’Ilo ci sono diversi miliardi di lavo­ra­tori sparsi per il mondo. Quando faremo esplo­dere la potenza di tale con­trad­di­zione? Non è pos­si­bile comin­ciare a tes­sere una rete inter­na­zio­nale che rivi­ta­lizzi tale orga­ni­smo, o ne crei un altro nuovo? Quando inco­min­ce­remo a porre in agenda l’obiettivo del sala­rio minimo per tutti gli ope­rai, di stan­dard di base irri­nun­cia­bili delle con­di­zioni e dell’orario di lavoro? Vaste pro­gramme, direbbe qual­cuno, dal momento che da quando esi­ste l’Unione Euro­pea non si era mai vista tanta iner­zia sin­da­cale e man­canza di azione comune nel Vec­chio Continente.
Ma non esi­stono in Ita­lia le figure capaci di un tale com­pito? Non è pos­si­bile che i diri­genti della Cgil si guar­dino intorno e vedano tanti nostri gio­vani, le migliori e più colte intel­li­genze del nostro paese, che scap­pano all’estero? E per­ché non sce­gliere tra que­sti i tanti talenti che potreb­bero por­tare ener­gia, idee, moti­va­zioni, cono­scenza di lin­gue e realtà sociali in grado di ridare gio­vi­nezza, saperi, visione inter­na­zio­nale al sin­da­cato ita­liano? Li dob­biamo lasciare alle imprese? Quale salto di qua­lità potrebbe com­piere la crea­ti­vità della Cgil se una nuova leva di gio­vani tren­tenni, oggi pre­cari in Ita­lia e nel mondo, venisse fatta entrare con spe­ci­fici com­piti dirigenziali?
Avanzo tale pro­po­sta non solo per­ché la sini­stra si dovrebbe porre il pro­blema dei nostri gio­vani intel­let­tuali. Ma anche per­ché il sin­da­cato oggi potrebbe far tesoro di una sua antica isti­tu­zione, in grado di ridar­gli una nuova vita­lità. Nata nel 1891 a Milano, la Camera del Lavoro è stata una geniale inven­zione. Essa met­teva insieme le diverse cate­go­rie ope­raie in unico cen­tro ter­ri­to­riale, men­tre lo svi­luppo capi­ta­li­stico si diver­si­fi­cava e arti­co­lava le sue geo­gra­fie. E oggi? Non sap­piamo da tempo che il lavoro, pre­ca­rio, alterno, reso auto­nomo, fran­tu­mato, delo­ca­liz­zato, subap­pal­tato, ecc. sem­pre meno ritrova unità in un luogo determinato?
E allora, che cosa si aspetta a ridare nuova vita­lità a tali cen­tri, dove pos­sano con­fluire non solo i lavo­ra­tori e i pen­sio­nati per pra­ti­che di patro­nato, ma anche i disoc­cu­pati, le par­tite Iva, i ricer­ca­tori, gli stu­denti ? E’ una isti­tu­zione a base ter­ri­to­riale quella che oggi può for­nire uno spa­zio di unità a un uni­verso sociale in fran­tumi. Le Camere del Lavoro dovreb­bero dun­que essere accre­sciute nelle grandi città, ma anche fatti nascere in ogni comune, poten­ziate dove già esi­stono. Si pensi alla fun­zione aggre­ga­tiva che potreb­bero svol­gere oggi nel Mez­zo­giorno, dove i i gio­vani disoc­cu­pati sono murati in casa, soli con la loro disperazione.
Natu­ral­mente, una solu­zione orga­niz­za­tiva non è una poli­tica, ma già darebbe un segnale di movi­mento. Men­tre i temi poli­tici certo non mancano.
Lan­dini ha con­fes­sato con one­stà di essere stato in pas­sato con­tra­rio alla con­ces­sione del red­dito minimo. Si tratta di per­ples­sità com­pren­si­bili, dif­fuse nella sini­stra. Incer­tezze che nascono dal fatto che essa ha abban­do­nato da tempo il ter­reno sociale e teo­rico da cui è nata: l’analisi del mondo del lavoro come parte costi­tu­tiva del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo. Marx ha disve­lato l’origine della ric­chezza e della sua dise­guale distri­bu­zione, rico­struendo l’architettura dell’intera società, par­tendo dal lavoro. Una ana­lisi non super­fi­ciale del capi­tale ci dice che oggi esso ha sem­pre meno biso­gno di lavoro vivo, per via dei pro­cessi acce­le­rati di auto­ma­zione e per il van­tag­gio di poter tra­sfor­mare diret­ta­mente il danaro in altro danaro.
Ma uno sguardo ai nostri ultimi anni ci dice anche che il capi­tale ha un inte­resse poli­tico a far scar­seg­giare il lavoro, a ren­derlo raro e incerto, per­ché così può tenerlo sotto ricatto, raf­for­zare il suo rap­porto di domi­nio. Il lavoro è ele­mento vitale del capi­tale, ma anche suo avver­sa­rio. Le imprese lo sanno bene, la sini­stra l’ha dimen­ti­cato, pen­sando che il capi­tale si riduca alle pic­cole imprese fami­liari del Nordest.
Il red­dito minimo può sot­trarre i lavo­ra­tori e la nostra gio­ventù al grande ricatto. La Coa­li­zione sociale può tro­vare in tale obiet­tivo una via per costruire un con­senso vasto e vittorioso.

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