mercoledì 11 marzo 2015

Riforma costituzionale. L'"opposizione" è complice di Alessandro Avvisato, Contropiano.org


Riforma costituzionale. L'"opposizione" è complice
Per realizzarsi, la "resistibile ascesa di Arturo Ui" ha sempre bisogno di truppe cammellate e nemici finti, o al massimo di un'opposizione idiota.
E' così anche per la resistibile carriera di Renzi, arrivato a un passo dallo scardinare l'architettura costituzionale per consegnare il paese al primo dittatorello che disporrà di una maggioranza parlamentare. Naturalmente i suoi "meriti" sono abbastanza scarsi, più abili - certamente - i maggiorenti che "lo abbiamo messo lì" (com'ebbe a confessare il prode Sergio Marchionne, mentre spostava sede legale e fiscale della Fiat-Fca in paesi meno fiscali). Ci perdonerete la sgrammaticatura, speriamo, prendendo il buono che rivela.
L'altro elemento necessario è la pochezza di coloro che dicono di volerlo contrastare. Al voto finale Renzi ci arrivava con un Pd teoricamente spaccato, con Berlusconi ufficialmente tornato all'opposizione, una Lega e una Sel decisi a votare contro, come anche i penstastellati.
Vero è che alla Camera il Pd - grazie al "porcellum" - ha una maggioranza blindata e può contare anche sull'apporto dei alfaniani e neo-democristiani "popolari". Ma se gli oppositori fossero stati veri avrebbero unificato i loro sforzi per "mettere sotto" il primo presidente del consiglio mai eletto da nessuno.
E invece: i berlusconiani si dividono in tre pezzi: chi vota a favore perché "queste riforme le abbiamo scritte anche noi", rivendicanone lo stigma di destra piena, chi vota contro a prescindere perchè "ora siamo all'opposizione" e chi si astiene è perché non ci capisce più un tubo.
I grillini lasciano l'aula, facendo così mancare una quota rilevante di voti contrari (per "non legittimare lo stravolgimento della Costituzione", bah...).
La "sinistra Pd", naturalmente, non manca di fare l'ennesima figura innominabile per puteolenza, accingendosi ancora una volta a votare "sì" per disciplina di partito (qui ridotta a servilismo puro). In quest'area è difficile dire chi si sta comportando peggio. Se Fassina e forse Civati, che potrebbero fa compagnia ai grillini sull'Aventino, oppure se i "bersaniani", il cui portavoce - Cesare Damiano - ha annunciato che voteranno a favore per «certificare lo sforzo compiuto dalla minoranza per migliorare il testo di partenza». Migliorato? Mica è un contratto dei metalmeccanici da svendere come al solito, vero Cesare?

Una Costituzione di minoranza

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n brutto giorno per la Repub­blica. Come era nelle pre­vi­sioni, la Camera approva la riforma costi­tu­zio­nale Boschi-Renzi, già votata in Senato. 357 sì, 125 no, 7 aste­nuti, che alla Camera non con­tano. Movi­mento 5 Stelle fuori dall’Aula. Numeri certo favo­re­voli a Renzi. Ma è facile vedere, richia­mando il con­senso ai sog­getti poli­tici real­mente espresso nel voto del 2013, che una Camera depu­rata dalla droga del pre­mio di mag­gio­ranza dichia­rato ille­git­timo con la sen­tenza 1/2014 della Corte costi­tu­zio­nale oggi avrebbe boc­ciato la pro­po­sta. Non è la Costi­tu­zione della Repub­blica. È la costi­tu­zione del Pd con escre­scenze. Una costi­tu­zione di minoranza.
Que­sto con­ferma tutte le cri­ti­che sulla man­canza di legit­ti­ma­zione a rifor­mare la Costi­tu­zione di un par­la­mento ful­mi­nato nel suo fon­da­mento elet­to­rale. E dun­que non abbiamo affatto un paese più sem­plice e giu­sto, come esulta Mat­teo Renzi. Invece, abbiamo in pro­spet­tiva una Costi­tu­zione che non riflette la realtà del paese.
Il voto della Camera ci con­se­gna quel che sarà, molto pro­ba­bil­mente, il testo defi­ni­tivo della riforma. Si richiede un nuovo pas­sag­gio in Senato per chiu­dere con l’approvazione di un iden­tico testo la fase della prima deli­be­ra­zione richie­sta dall’art. 138 della Costi­tu­zione. Ma è ragio­ne­vole pre­ve­dere che Renzi alzerà bar­ri­cate con­tro ogni ulte­riore modi­fica, che potrebbe del resto toc­care solo le parti ora emen­date dalla Camera.
Immu­tata la sostanza. Lie­ve­mente miglio­rata la “ghi­gliot­tina” per cui il governo poteva pre­ten­dere a data certa il voto su un testo di sua scelta. Un vero e pro­prio potere di vita o di morte sui lavori par­la­men­tari. Ora rimane solo la data certa, e non è poco. Fino ad oggi sarebbe stata mate­ria riser­vata all’autonomia delle Camere attra­verso i rego­la­menti par­la­men­tari. Da domani — scritta in Costi­tu­zione — sarà invece un vin­colo sul par­la­mento nei con­fronti del governo. Peg­gio­rata la riforma del Titolo V, dove viene annac­quato con ine­dite com­pli­ca­zioni il pro­po­sito — in sé apprez­za­bile — di una sem­pli­fi­ca­zione del rap­porto Stato-Regioni.
Ma su tutto pre­vale la inac­cet­ta­bile scelta — che rimane — di un Senato non elet­tivo, di seconda mano e di dop­pio lavoro, tut­ta­via inve­stito di poteri rile­vanti, tra cui spicca quello di revi­sione della Costi­tu­zione. Man­ten­gono piena vali­dità le cri­ti­che più volte espresse su que­ste pagine. Soprat­tutto per la siner­gia con l’Italicum, che va colta in tutto il suo signi­fi­cato. E se ne accen­tua il rilievo nel momento in cui la riforma costi­tu­zio­nale rimane pes­sima, e l’Italicum peg­giora. Al già inac­cet­ta­bile impianto di base, inos­ser­vante dei prin­cipi posti con la sen­tenza 1/2014, si aggiun­gono ora il pre­mio alla sola lista, la beffa dei capi­li­sta bloc­cati e can­di­da­bili in più col­legi, il bal­lot­tag­gio. Il colpo alla rap­pre­sen­ta­ti­vità delle isti­tu­zioni e ai pro­cessi demo­cra­tici si aggrava.
La fine dichia­rata da Ber­lu­sconi del patto del Naza­reno aveva susci­tato qual­che spe­ranza. La let­tera dei “ver­di­niani” — Ver­dini è noto­ria­mente in odore di ren­zi­smo — fa nascere dubbi sul con­trollo di Ber­lu­sconi sul par­tito. Forse una parte dei suoi si appre­sta a cam­biare padrone, se non casacca. Nel pros­simo voto in Senato — ancora in prima deli­be­ra­zione — non sarà pre­scritta una par­ti­co­lare mag­gio­ranza. Ma sarà una prova gene­rale per la seconda deli­be­ra­zione ex art. 138, per cui si richiede il voto favo­re­vole della metà più uno dei com­po­nenti l’assemblea. In Senato il dis­senso potrebbe allora essere deci­sivo. E affos­sare la riforma tra­sci­ne­rebbe con sé anche l’Italicum, che nulla pre­vede per il Senato assu­men­done il carat­tere non elettivo.
Sapremo dun­que già nel voto che si avvi­cina se la sini­stra del Pd ha numeri e attri­buti. Sapremo se il patto del Naza­reno è dav­vero morto. Ber­lu­sconi ha inteso fare a Renzi lo stesso sgam­betto che fece a D’Alema nel 1997, quando affossò in Aula la pro­po­sta che Fi aveva votato in Com­mis­sione bica­me­rale Allora, pur avendo i numeri, la mag­gio­ranza di cen­tro­si­ni­stra si fermò. Que­sta volta non gli è riu­scito. In Senato pro­vaci ancora, Sil­vio. Magari faremo il tifo per te.
Nel frat­tempo, biso­gnerà spie­gare al popolo sovrano che nelle isti­tu­zioni si for­giano le poli­ti­che di governo. Per le donne e gli uomini di que­sto paese le scelte isti­tu­zio­nali non sono indif­fe­renti. Isti­tu­zioni sem­pli­fi­cate e poco rap­pre­sen­ta­tive, assem­blee elet­tive con la mor­dac­chia, governi che fun­zio­nano come giunte comu­nali (for­mula ren­ziana), par­titi della nazione pro­du­cono poli­ti­che con­ser­va­trici, disat­tente verso i diritti, subal­terne ai poteri forti, sorde alle diver­sità, e invece tol­le­ranti verso le dise­gua­glianze. Già accade.
Con pen­sosa paca­tezza Ber­sani final­mente avverte che l’Italicum non è vota­bile per la siner­gia per­versa con la riforma costi­tu­zio­nale. Corra ai ripari. Qual­cuno dovrebbe spie­gare a lui e all’evanescente sini­stra Pd che la ditta li ha già messi in cassa inte­gra­zione a zero ore. Anche il nuovo par­tito non più leg­ge­ris­simo di cui Renzi favo­leg­gia li met­te­rebbe in mobi­lità. Per loro, solo con­tratti a tutele decrescenti.

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