martedì 28 aprile 2015

Italicum, il fondato pregiudizio di Massimo Villone

La Consulta e la riforma Renzi. Può accadere ora con l’Italicum ciò che poteva accadere con il Porcellum? Certamente sì
28desk1-cameraRenzi scrive ai demo­cra­tici che è in gioco il futuro del par­tito. Può darsi. Ma non dice che tutto viene dalla sua con­ti­nua e arro­gante pre­va­ri­ca­zione per riforme isti­tu­zio­nali utili al suo popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio, e non al paese.
Minac­cia que­stioni di fidu­cia a raf­fica per met­tere la mor­dac­chia al dis­senso Pd, ha ipo­tiz­zato di imba­va­gliare per­sino le pre­giu­di­ziali. Una pre­giu­di­ziale di costi­tu­zio­na­lità sull’Italicum è giu­sti­fi­cata, per­ché il testo del senato non tiene conto dei prin­cipi sta­bi­liti dalla Corte costi­tu­zio­nale nella sen­tenza 1/2014, ed anzi ancor più se ne allontana.
Quanto alla rap­pre­sen­ta­ti­vità e al voto eguale, il 40% invece del 37% di soglia per il pre­mio di mag­gio­ranza lascia un mega­pre­mio del 15%. E in ogni caso è deci­siva l’introduzione del bal­lot­tag­gio. La sen­tenza 1/2014 aveva inteso ful­mi­nare la pos­si­bi­lità — si badi, non la cer­tezza — che un ridotto con­senso nei voti si tra­du­cesse in una mag­gio­ranza asso­luta di seggi. Dun­que la domanda è: può ora acca­dere con l’Italicum ciò che poteva acca­dere con il Por­cel­lum? Cer­ta­mente sì, per­ché al bal­lot­tag­gio si arriva senza soglia. Acce­dono le due liste più votate al di sotto del 40%, quale che sia la per­cen­tuale con­se­guita. Anche se, per esem­pio, fosse il 15 o 20%. E se per ipo­tesi tutti gli aventi diritto al voto con­fer­mas­sero nel bal­lot­tag­gio la scelta fatta nel primo turno, quel 15 o 20% si tra­dur­rebbe magi­ca­mente nel 55% dei seggi. Il tutto è aggra­vato dal pre­mio alla sin­gola lista e non alla coa­li­zione. Che il bal­lot­tag­gio curi i difetti del Por­cel­lum è un ingan­ne­vole gioco di specchi.
Quanto alla libertà degli elet­tori di sce­gliere i rap­pre­sen­tanti, non basta limi­tare il blocco ai capi­li­sta. Già rileva che sareb­bero di fatto un’ampia mag­gio­ranza degli eletti. Ma ancor più conta che ogni elet­tore vota neces­sa­ria­mente anche il capo­li­sta. E se non lo vuole? Non può volere per una parte, e disvo­lere per un’altra.
Il voto di tutti è ine­vi­ta­bil­mente con­di­zio­nato ex lege, e quindi per defi­ni­zione non è libero. Con argo­menti ana­lo­ghi la Corte costi­tu­zio­nale richiede un que­sito uni­voco, omo­ge­neo e ispi­rato a una matrice razio­nal­mente uni­ta­ria come requi­sito per l’ammissibilità del refe­ren­dum abro­ga­tivo ex arti­colo 75 della Costituzione.
Le oppo­si­zioni hanno dun­que motivo per la pre­giu­di­ziale, e pos­sono chie­dere il voto segreto. Può il governo alzare il muro della que­stione di fiducia?
Nel gen­naio 2014 la Camera discu­teva la legge elet­to­rale. Par­ti­vano la sca­lata di Mat­teo Renzi a Palazzo Chigi, ancora occu­pato da Enrico Letta, e la sta­gione del Naza­reno. Sulla pre­giu­di­ziale a prima firma Migliore (allora capo­gruppo di Sel, ora Pd) si votò a scru­ti­nio segreto, su richie­sta dello stesso Migliore (AC, 31.01.2014, p. 9–11). Nes­suno parlò di fidu­cia. Un pre­ce­dente si trova nel 1980, con la fidu­cia posta da Fran­ce­sco Cos­siga sulla reie­zione della pre­giu­di­ziale di costi­tu­zio­na­lità a un decreto legge (AC, 26.08.1980, p. 17291). Ancora oggi val la pena di leg­gere l’opinione con­tra­ria di Ste­fano Rodotà (p. 17293).
Riba­di­sco per la pre­giu­di­ziale la pre­va­lenza della richie­sta di voto segreto già argo­men­tata su que­ste pagine in mate­ria di legge elet­to­rale. In ogni caso, la vicenda del 1980 non sarebbe un buon pre­ce­dente, essendo il voto segreto per il rego­la­mento di allora pre­vi­sione di ordine gene­rale, e non mirata a ipo­tesi tas­sa­tive come è oggi. Pro­prio dalla tas­sa­ti­vità dovrebbe venire un favor per la segre­tezza lad­dove richie­sta. Del diverso con­te­sto la pre­si­denza dell’Assemblea, il cui primo dovere è garan­tire la libertà dell’istituzione par­la­men­tare e non il suc­cesso del governo, deve tener conto. E cosa è poi la que­stione di fidu­cia se non la richie­sta di un voto per appello nomi­nale? Se è così, scom­pare forse l’articolo 51.3 del rego­la­mento della Camera, per cui «nel con­corso di diverse richie­ste pre­vale quella di vota­zione per scru­ti­nio segreto»?
Con­clu­si­va­mente, tre punti. 
Il primo. Dal gen­naio 2014 Renzi si è inde­bo­lito, pur essendo oggi pre­mier. Pun­tare tutto sul patto del Naza­reno fu un errore che ora gli si river­bera con­tro. 
 Il secondo. Il con­ti­nuo ricatto — crisi, scio­gli­mento anti­ci­pato — ci mostra come Renzi intende il par­la­mento e la poli­tica in gene­rale. 
Il terzo. Si con­ferma che Renzi vuole imporre, appro­fit­tando della sca­lata al par­tito e a Palazzo Chigi, isti­tu­zioni prive di largo con­senso, e per­sino mino­ri­ta­rie. Come que­sto dia forza e sta­bi­lità al paese qual­cuno ce lo deve spie­gare. E non baste­rebbe a tal fine il regalo — per niente certo — allo stesso Mat­teo Renzi di qual­che altro anno a Palazzo Chigi.
Molto dipende dai tre­me­bondi espo­nenti della sini­stra (?) Pd. È dif­fi­cile capirli.
Ormai, il segre­ta­rio ne ha dichia­rato la morte poli­tica, e la let­tera è l’ultimo cer­ti­fi­cato. Cos’altro deve fare? Pas­sarli nel catrame e nelle piume? Per il resto, tutto il mondo già pensa che — con ecce­zioni — barat­tano il paese e le isti­tu­zioni con qual­che mese di scranno par­la­men­tare o pochi cen­te­simi di vita­li­zio. Uno scam­bio mise­ra­bile. Nes­suno più com­pra la mistica della «ditta». Ma quale ditta, se un ex-segretario come Pier Luigi Ber­sani non viene nem­meno invi­tato alla festa dell’Unità, dove — come dichiara — sarebbe andato anche a piedi? Se non ritro­vano qui e ora, nell’ultimo momento utile, una ragione di esi­stere e una dignità ormai per­so­nale prima che poli­tica, al pros­simo turno elet­to­rale saranno comun­que merce ava­riata. I ser­vizi resi non ridanno una ver­gi­nità poli­tica perduta.
Una let­tera del segre­ta­rio come quella di ieri atte­sta che un par­tito è mera appa­renza. Qual­cuno dovrebbe spie­gare a Renzi che il futuro del par­tito se l’è già gio­cato. E ha fatto tutto da solo.

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