lunedì 27 aprile 2015

LEGGE ELETTORALE: OPPOSIZIONE FUORI E DENTRO IL PARLAMENTO di Franco Astengo




Oggi 27 Aprile giunge alla discussione in aula il famigerato
“Italikum”: a costo di apparire come novelli e ripetitivi Catone
con il suo “Delenda Cartagho” è bene ribadire ancora la
necessità di un’opposizione ferrea fuori e dentro il
Parlamento.
E’ in gioco la Democrazia Costituzionale e Repubblicana.
 
Prima di tutto deve essere rimarcato come il nostro sistema politico affronta, per la terza volta in vent’anni, il tema della legge elettorale: un segnale d’incapacità dall’interno del sistema stesso di prevedere un senso “storico” del cardine attorno al quale ruota l’intero sistema politico. Perché la legge elettorale è proprio questo: il vero e proprio cardine del sistema.
Si sta cercando così, con una svolta autoritaria, di uscire dall’incertezza di un’infinita transizione e dal mancato assestamento attorno ad una formula ben precisa considerata la crisi irreversibile del tentativo di bipolarismo effettuato attorno agli anni’90 del secolo scorso.
L’idea, oggi, è molto simile a quella attorno a cui si sviluppò la legge Acerbo del 1924: un “Partito della Nazione” (in quel caso quello fascista) con attorno una opposizione suddivisa in piccoli cespugli. Da lì, poi, originarono le leggi fascistissime e il partito unico.
Ben diversa era la “ratio” della “Legge Truffa” del 1953 che puntava, tutto sommato, a una sorta di articolazione del bipolarismo (a quel tempo “ideologico” senza previsione di ricambio al Governo) tra la DC – possibilmente con la maggioranza assoluta – e i suoi piccoli alleati centristi versus il blocco socialcomunista. Il risultato delle elezioni del 7 Giugno di quell’anno determinò, invece, una articolazione diversa del sistema aprendo la strada, tra sussulti non indifferenti durati dieci anni, alla formula del centro-sinistra in un sistema di “multipartitismo centripeto” con i partiti situati alle ali, destra e sinistra, in utilizzabili per formule di governo stabili, salvo appoggi di maggioranza in circostanze eccezionali (il governo Tambroni, la “solidarietà nazionale” nella fase del terrorismo e del rapimento Moro).
Oggi, appunto, l’idea è quella di un autoritarismo di nuovo conio (tenendo conto anche della ferrea gestione monetarista del ciclo economico - finanziario imposta dall’Europa) quale esaltazione e suffragio del meccanismo di personalizzazione della politica e di svuotamento di senso dei partiti affermatosi nel ventennio precedente, caratterizzato dall’egemonia culturale di una pericolosa destra populista che ha fatto da modello per l’intero sistema e il cui testimone viene oggi raccolto in pieno da un Partito Democratico fondato sull’individualismo competitivo e una gestione del potere, a livello locale, conteso tra bande rivali imperniate sul concetto del “trasformismo corporativo”.
Non deve essere dimenticato, ancora, come si arrivi alla modifica della legge elettorale sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale (n.1/2014) che ha giudicato fuori dal terreno costituzionale, la precedente legge varata nel 2005.
Quali sono allora i punti di maggiore criticità del progetto che oggi la Camera comincerà a discutere:
Si tratta, in pratica, di un’elezione diretta del Presidente del Consiglio che assumerebbe così le vesti di un premierato e/o di un cancellierato senza i contrappesi che i sistemi di questo tipo hanno in altri Paesi e in presenza di una sola Camera abilitata a concedere la fiducia ed eletta attraverso il meccanismo della concessione di un abnorme premio di maggioranza. Inoltre, e ancora più grave, l’elezione diretta del Presidente del Consiglio non solo farebbe uscire praticamente il nostro sistema istituzionale dal quadro di Repubblica Parlamentare previsto dalla Costituzione, ma contrasterebbe (creando un vero e proprio punto di “frattura” istituzionale) con l’elezione del Presidente della Repubblica prevista, com’è noto, a livello parlamentare e di delegati regionali. Un fatto gravissimo di alterazione nell’equilibrio delle fonti stesse dei diversi poteri politico – istituzionali;
      Tutto questo si verificherebbe in ragione dell’assegnazione di un abnorme premio di maggioranza: un’anomalia già condannata dalla Corte Costituzionale nell’occasione della bocciatura delle parti fondamentali della precedente legge elettorale del 2005. Un premio di maggioranza che, alla fine utilizzando adesso dati di previsione del tutto attendibili, attribuirebbe al partito di maggioranza relativa un premio superiore al 50% dei voti da esso conseguito. Mi è già capitato di fare l’esempio e lo ripeto in questa sede: il PD ha disposto, nell’occasione delle elezioni europee del 2014, di circa 11 milioni di voti. Per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, in un caso assolutamente plausibile di circa 32 milioni di voti validi, il “regalo” sarebbe di circa 6 milioni di voti. Quindi un regalo di più del 50% dei voti conseguiti. Anche a cifre più ridotte comunque la sostanza dell’abnormità del premio, considerati anche gli effetti sistemici che esso comporta non cambia: reductio del quadro politico – parlamentare in una misura del tutto insufficiente rispetto a una minima espressione delle sensibilità democratiche del Paese. Sotto quest’aspetto non inganni la soglia al 3% indice di tentativo di polverizzazione e di progressiva cancellazione; addirittura elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Inoltre il blocco dei capilista nel 100 collegi, sottratti al gioco delle preferenze, significherebbe che almeno il 50% dell’intera Assemblea resterebbe di nominati e non di eletti (il Senato sarebbe invece costituito interamente di nominati: magari in misura doppia essendo possibile la presenza di Senatori, Consiglieri Regionali eletti nella loro Regione attraverso i listini “bloccati” collegati ai Candidati Presidenti).
Nella sostanza: un ceto politico che elegge e rielegge se stesso.
Un vulnus gravissimo a una sia pur minima concezione della democrazia.
Queste sono le ragioni di fondo per le quali è necessaria l’opposizione parlamentare e la più forte mobilitazione dal basso al riguardo della quale è necessario non stancarci di richiamarne il grande valore politico e morale.
Prestando attenzione a un punto, infine: è probabile che si renderà necessario un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale. Se ne ravvedono tutti gli elementi. In quest’occasione però il gruppo di avvocati che ha condotto la battaglia contro il “Porcellum” non può restare isolato.
E’ indispensabile l’appoggio delle forze politiche e dei gruppi organizzati che si sono già mossi nella giusta direzione: in particolare dell’ANPI che ha argomentato con grande chiarezza la propria opposizione e che è chiamata, con la sua forza e il suo grande prestigio, ad agire in conseguenza.
Il richiamo alla mobilitazione non può cadere nel vuoto e fermarsi al momento dell’eventuale approvazione in Parlamento.
La posta in palio è troppo alta: ne va della rappresentatività politica del Paese e di conseguenza della stessa convivenza civile.

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