venerdì 22 maggio 2015

La sentenza sulle pensioni, il governo Renzi e le disuguaglianze in Italia. Ribellarsi è giusto. di Roberta Fantozzi, Rifondazione.it



Il governo Renzi ha risposto alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle rivalutazioni delle pensioni superiori tre volte il minimo, decidendo di dare qualche mancia ai pensionati. Ad agosto saranno rimborsati 750 euro per le pensioni da 1406 euro lordi a 1700 euro lordi, 450 euro per le pensioni fino a 2200 euro, 278 euro per quelle fino a 3200 euro. Si tratta come è noto, di interventi una-tantum che impegneranno risorse pari a 2,18 miliardi, mentre in caso di corresponsione totale dei rimborsi, le risorse necessarie sarebbero state di 16,6 miliardi più gli interessi.
L’intervento del governo non rispetta la sentenza della Corte che vale la pena di ripercorrere nelle sue motivazioni.
La sentenza ha dichiarato illegittimo il blocco delle rivalutazioni in riferimento agli articoli 3, 36 primo comma, 38 secondo comma, della Costituzione, cioè in riferimento al principio di eguaglianza (art.3), al diritto delle lavoratrici e dei lavoratori ad avere una retribuzione in “ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art.36), al diritto dei lavoratori a “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”(art.38).
La sentenza compie un excursus storico di precedenti interventi di analoga natura, rilevando che la norma introdotta dalla legge Fornero “si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente. Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato”
La legge Fornero non ha operato – dice la sentenza- una rimodulazione delle perequazioni per fasce di reddito, come fatto con precedenti  interventi,  né ha bloccato la perequazione per importi pensionistici elevati, come avvenuto quando si è intervenuti sulle pensioni superiori a 8 volte il minimo, ma ha bloccato integralmente la perequazione anche per i “titolari di trattamenti previdenziali modesti”. Inoltre il blocco è stato giustificato richiamando “genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi”.
La sentenza della Corte, come è stato osservato da più parti, ha riaffermato che esistono diritti e Costituzioni che li incarnano, non sacrificabili alle politiche di austerità, e che esistono ancora organi incaricati di garantire quei diritti. Non a caso quelle Costituzioni sono sottoposte ad un attacco continuo, a partire dall’introduzione del principio del pareggio di bilancio,  e quegli organi si vogliono assoggettare ai voleri di pochi, modificando come fa l’Italicum in maniera così grave la composizione del Parlamento da pregiudicare la composizione degli stessi organi di garanzia.
La sentenza della Corte non ha dettato peraltro, né avrebbe potuto farlo il modo in cui porre rimedio all’incostituzionalità delle norme, ma ha indicato nel principio di eguaglianza, nel diritto ad una retribuzione in grado di garantire un’esistenza libera e dignitosa, e di pensioni – che altro non sono che retribuzione differita – adeguate alle esigenze di vita nella vecchiaia, i principi a cui far corrispondere il necessario intervento normativo.
A questi principi non corrisponde l’intervento del governo Renzi. Va ricordato che anche per la prima fascia di importo, per le pensioni nette di 1200 euro mensili, cioè per i “trattamenti previdenziali modesti” a cui dedica la sua attenzione in particolare la sentenza della Corte Costituzionale, il rimborso sarà meno della metà del dovuto: 750 euro a fronte di 1700 circa.
E’ dunque più che comprensibile la rabbia di molte e molti, per un intervento che di fatto nega la sentenza della Corte. Lo è assai meno quella dei pensionati ad alto ed altissimo reddito.
Non sosteniamo i ricorsi di coloro che hanno pensioni d’oro e di platino, quelle per cui vorremmo anzi che si introducessero per il futuro meccanismi di calcolo in grado di fare qualche giustizia, giacchè è inaccettabile che ci siamo pensioni da 90.000 o 40.000 euro mensili, solo per citare il primo e l’ultimo della lista dei primi 10 pensionati d’oro.
Ma è più che legittimo che le migliaia di pensionati con assegni medio-bassi vogliano far valere le proprie ragioni anche attraverso i ricorsi.
Ed è necessario che si riapra tutta la partita delle pensioni e più complessivamente si rimettano in discussione le politiche che il governo Renzi sta facendo:  ossequiose dei diktat della Troika perché complici nella tutela dei medesimi interessi.
Sulle pensioni va ricordato, come da anni si incarica di dimostrare il Rapporto sullo Stato Sociale curato da Roberto Pizzuti, che è dal 1998 che il saldo tra i contributi previdenziali versati e le pensioni erogate al netto delle tasse (in Italia particolarmente pesanti e che comunque rientrano nelle casse dello stato) è in attivo. Un attivo che per il 2013 è stato di ben 21 miliardi.
La controriforma Fornero non va flessibilizzata dunque con qualche penalizzazione in più per chi vuole andare in pensione prima dei termini folli previsti, come sembrano suggerire le uscite di Renzi. Va rimessa in discussione radicalmente a partire dall’innalzamento fino a oltre 6 anni dell’età pensionabile e dall’impossibilità per chi ha lavori precari di accedere, mai, nel futuro a una pensione decente.
Né è accettabile che le risorse per i pensionati vengano prese da quelle che dovevano andare al contrasto alle povertà, come vuole fare Renzi.  Non in un paese in cui le disuguaglianze sono quelle che ogni rapporto statistico racconta da anni, salvo accrescersi esponenzialmente con la crisi.  Quelle che da ultimo racconta l’Ocse, secondo cui l’1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta, il triplo rispetto al 40% più povero che ne detiene solo il 4,9%. O ancora, un paese in cui il 20% più ricco detiene il 61,6% della ricchezza, mentre il 20% più povero lo 0,4%!! Un rapporto di 154 volte, disuguaglianze da urlo, indegne di un paese civile.
Qualche tempo fa un altro rapporto dell’Ocse, aveva peraltro registrato come tra il 1976 e il 2006 la quota dei redditi da lavoro dipendente e autonomo sul totale della ricchezza prodotta nei paesi a capitalismo avanzato, fosse diminuita di 10 punti percentuali, andando a rendite e profitti.  In Italia la crescita delle disuguaglianze era stata più marcata e i punti erano 15, che a valori correnti del Pil, fa oltre 240 miliardi.  Ma da allora la situazione è per l’appunto peggiorata.
E’ necessario battersi per un’inversione radicale delle politiche economiche: per un piano per il lavoro, per la cancellazione della controriforma Fornero, per il reddito minimo. Liberando innanzitutto le nostre teste dall’idea che un obiettivo sia in contrapposizione all’altro, che la coperta sia troppo corta per tutti, che una piattaforma che tiene insieme obiettivi di ricomposizione sociale, sia estremistica. La coperta non è corta, solo che alcuni se la sono presa quasi tutta. Sono loro gli estremisti, quelli che dicono che non si può e che non c’è alternativa, per continuare a difendere gli interessi di pochi a scapito di quelli della grande maggioranza delle persone.
p.s.
E’ bene evitare di fare propaganda sui ricorsi. Il Movimento 5 Stelle non è certamente il soggetto politico con cui abbiamo maggior desiderio di polemizzare nel panorama politico dato, ma la normativa vigente, permette solo ai soggetti legittimati e appositamente convenzionati con l’Inps (avvocati, consulenti del lavoro, commercialisti, caf, patronati, etc.) di poter inviare telematicamente i ricorsi amministrativi direttamente all’ente. E’ del tutto privo di efficacia legale il modulo postato sul blog di Grillo con cui si invitano i pensionati ad indirizzare direttamente all’Inps e a mezzo posta, quando questa modalità è esclusa.

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