venerdì 26 giugno 2015

«Fuori il Pd dalla scuola» di Roberto Ciccarelli

No Ddl Scuola. In duemila con i sindacati in corteo a Roma contro la riforma della scuola di Renzi. Contestazione a Mineo (Pd) salvato da Bernocchi (Cobas). Il voto di fiducia al Senato ha messo fine a un equivoco: dopo la riforma Renzi nessun partito di «sinistra» potrà più fare politiche di «destra». Le immagini, le reazioni, il racconto di una giornata che ha messo fine alla libertà di insegnamento nella scuola in Italia
Il patto per tenere unito il Par­tito Demo­cra­tico nelle mani di Renzi ha tenuto e l’agnello della scuola è stato sacri­fi­cato. La sini­stra Dem ha votato la fidu­cia sul Ddl Renzi, ha sal­vato il governo e ha segnato la pro­pria fine. «È la peg­giore fidu­cia pos­si­bile – ha ammesso il sena­tore Pd Miguel Gotor, docente uni­ver­si­ta­rio – per­ché viene data a un governo che con il suo com­por­ta­mento mostra di non avere fidu­cia nel mondo della scuola. Que­sto non è il par­tito né il pro­gramma con cui nel 2013 noi sena­tori del Pd ci siamo pre­sen­tati alle ele­zioni. Gli ita­liani e gli elet­tori non ci per­do­ne­ranno facil­mente que­sto tra­di­mento». Il voto è stato dato per evi­tare di far cadere il governo — «il paese non può asso­lu­ta­mente per­met­ter­selo» — e per «disci­plina di par­tito» — ha pre­ci­sato Gotor.
Una pie­tra tom­bale per l’equivoco rap­pre­sen­tato dalla «sini­stra» Pd. Un equi­voco durato quin­dici anni: è dalla riforma Ber­lin­guer che gli eredi del par­tito comu­ni­sta (Pds-Ds-Pd) usano i voti degli inse­gnanti per fare poli­ti­che con­tro la scuola e l’istruzione pub­blica. Renzi rap­pre­senta la svolta: con lui il Pd ha mostrato la sua inter­nità al pro­getto neo­li­be­ri­sta, azien­da­li­sta e auto­ri­ta­rio isti­tuendo il «preside-manager», la chia­mata diretta dei docenti, un vul­nus alla libertà di inse­gna­mento, aggra­vato dall’introduzione del prin­ci­pio del nepo­ti­smo nella scuola che si mani­fe­sterà quando i pre­sidi dovranno sce­gliere tra migliaia di cur­ri­cu­lum il loro docente preferito.
Il mes­sag­gio è stato con­te­stato dai due­mila mani­fe­stanti che ieri a Roma hanno sfi­dato con i sin­da­cati Flc-Cgil e Cobas, Cisl e Uil Scuola, Gilda e Snals l’afa di fine giu­gno per pro­te­stare con­tro un par­tito che si è arreso al suo lea­der nella spe­ranza di pun­tel­larne il governo. A fare le spese del «tra­di­mento» è stato Cor­ra­dino Mineo, il sena­tore Pd «dis­sen­ziente» che con Wal­ter Tocci e Felice Cas­son, ieri non ha par­te­ci­pato al voto al Senato. Men­tre era ancora in corso il voto al Senato, Mineo ha aggi­rato l’imponente mas­sic­ciata degli auto­blindo della poli­zia che hanno impe­dito al cor­teo di rag­giun­gere il Senato, bloc­can­dolo in piazza Sant’Andrea della Valle. Mineo ha seguito Ste­fano Fas­sina, che però si è dimesso dal Pd 48 ore fa e ha sfi­dato la ten­sione immer­gen­dosi nella folla facen­dosi inter­vi­stare nello spa­zio tra i poli­ziotti con scudi e caschi e la prima fila del cor­teo in piazza Sant’Andrea della Valle. Accanto a lui, stretto tra cor­doni e urla, Arturo Scotto di Sel. La scelta di Mineo di non votare «no» alla fidu­cia, e di non pre­sen­tarsi in Senato, ha creato subito forti tensioni.
«Che ci fai qui – gli ha chie­sto un’insegnante in un capan­nello, tra tele­ca­mere, regi­stra­tori e mega­foni – Non lo capi­sci che con il tuo par­tito ormai la rot­tura non è più ricu­ci­bile?». Mineo si è ritro­vato da solo, ha mostrato corag­gio, men­tre la rab­bia e la fru­stra­zione si è sca­ri­cata con­tro di lui. «Per­ché non hai votato no?» gli ha chie­sto un altro inse­gnante. «Non l’ho fatto per­ché avrei accet­tato il ricatto di Renzi» ha rispo­sto Mineo. Una spie­ga­zione che non è stata per­ce­pita. Il Pd è il par­tito che ha «tra­dito». «Te ne devi andare!». «Esci da quello schifo, ci vuole dignità!».
La ten­sione è salita alle stelle. Mineo ha cer­cato una via di fuga, senza tro­varla. «Vai in aula e vota no, ver­go­gna!» gli ha detto un inse­gnante, pao­nazzo. A sal­vare il sena­tore è arri­vato Piero Ber­noc­chi dei Cobas che lo ha stretto con un brac­cio e lo ha por­tato fuori dalla piazza. Tre­cento per­sone li hanno seguiti. Il ser­vi­zio d’ordine dei Cobas ha cer­cato di fare cor­done, men­tre qual­cuno gri­dava al sena­tore: «Porci, siete tutti attac­cati alle pol­trone!». Ber­noc­chi è riu­scito a met­tere in sicu­rezza Mineo die­tro un cor­done di poli­zia dopo un inse­gui­mento di cin­que­cento metri in Corso Vit­to­rio Ema­nuele. La poli­zia si è schie­rata, i blin­dati sono avan­zati. Nes­suno da quella parte ha capito cosa stava accadendo.
Una scena dram­ma­tica. Le più furenti erano le inse­gnanti, in grande mag­gio­ranza al cor­teo. «Il Pd ha finito con la sini­stra – ha argo­men­tato una docente, una volta scesa la ten­sione men­tre le cam­pane della Basi­lica di Sant’Andrea della Valle suo­na­vano per la messa delle 19 – Que­sto non è il Pd che è stato votato». Sin­go­lare asso­nanza con la posi­zione di Gotor qual­che minuto prima in Senato. Il dato poli­tico di una vicenda nata male, e finita peg­gio, è con­fer­mato. La riforma pas­serà, ma d’ora in poi nes­sun par­tito potrà usare i voti di sini­stra per fare poli­ti­che di destra. Agni­zione tar­diva, avve­nuta troppo tardi, alla fine di un sonno durato tre lustri. Tutto que­sto fa parte della tra­ge­dia ita­liana.
La mani­fe­sta­zione ha tenuto. Alle 20,30 gli inse­gnanti erano ancora seduti sull’asfalto del Corso in assem­blea. L’ultimo atto di resi­stenza in una gior­nata ini­ziata all’alba dai sin­da­cati e dagli stu­denti dell’Uds al Miur e nei prin­ci­pali monu­menti della Capi­tale. Insieme hanno espo­sto lo stri­scione: «Fidu­cia nel palazzo, sfi­du­cia nelle scuole».

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