sabato 4 luglio 2015

BRUTTI BASTARDI!

In questi giorni che precedono il referendum, la stampa eurista gronda di falsità sul popolo greco. 
L'ultimo esempio che abbiamo sotto mano è quello della statistica sulla spesa pensionistica in rapporto al Pil, pubblicata stamane dal Sole 24 Ore. 
Il grafico, va da sé, vede primeggiare i pensionati ellenici, che ci vengono presentati come dei veri privilegiati, con una spesa pensionistica pari al 17,5% del Pil.
Già, ma di quale Pil si parla? Ovviamente di quello decurtato del 25% dalla recessione causata dal sistema dell'euro e dalla politica austeritaria imposta dall'UE. Se questa decurtazione non vi fosse stata, se il Pil fosse rimasto quello del 2010, la spesa pensionistica greca sarebbe soltanto al 13,1%, al di sotto dell'Italia (16,6), della Francia (15,2), dell'Austria (15,0), del Portogallo (14,8), della Danimarca (14,5) e dell'Olanda (13,4). Ovvio che il giornale di Confindustria si guardi bene dal minimo accenno a questo piccolo dettaglio... 

Ma tante sono le falsità che vengono dette in questi giorni per colpevolizzare i greci. Del resto è così fin dall'inizio della crisi del debito, visto che è assai più semplice dipingere i greci come dei fannulloni, piuttosto che indagare le responsabilità del sistema dell'euro e di chi lo guida da Bruxelles a Francoforte.

Per smontare queste falsità ripubblichiamo un pezzo di Vladimiro Giacchè, uscito sul Fatto Quotidiano del 2 agosto 2011. L'articolo è vecchio di quattro anni, ma proprio per questo è ancor più indicativo. Perché ci dice come già allora le cose fossero chiare, perché nel frattempo la situazione dei greci è peggiorata, perché dopo tanto tempo l'unica politica dell'oligarchia eurista ha sempre il solito nome: sacrifici.

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I greci sono tutti così pigri come dicono?
di Vladimiro Giacchè

Con oltre un anno di ritardo rispetto a quanto sarebbe stato necessario, le autorità europee hanno finalmente preso atto dell’inevitabilità di una ristrutturazione almeno parziale del debito pubblico greco. Non sono mancate note stonate: come la proposta di chiedere in pegno il Partenone, avanzata dai finlandesi. Una proposta che fa il paio col titolo comparso sul quotidiano tedesco Bild: “Vendete le vostre isole, Greci bancarottieri!”. Quello dei Greci bancarottieri è soltanto uno dei molti luoghi comuni che sono diventati popolari in Europa in questi mesi. Vediamoli.

1. I Greci lavorano troppo poco. Falso: prima della crisi i Greci lavoravano in media 44,3 ore alla settimana. La media dell’Unione Europea è di 41,7 ore, quella tedesca è di 41 ore (rilevazioni Eurostat). Secondo la banca francese Natixis il totale delle ore lavorate per addetto sono 2.119 in Grecia, 1.390 in Germania.

2. I Greci sono sempre in vacanza. Falso: i lavoratori greci godono di 23 giorni di vacanza all’anno. Il record europeo è dei Tedeschi: 30 giorni.

3. I Greci hanno stipendi troppo elevati. Falso: Il livello salariale medio in Grecia è pari al 73% della zona euro (e un quarto dei lavoratori greci guadagna meno di 750 euro al mese). Gli impiegati pubblici guadagnerebbero di più dei loro omologhi europei: ma già prima della crisi gli insegnanti, ad esempio, dopo 15 anni di servizio guadagnavano in media il 40% in meno che in Germania (Fonte: Rosa Luxemburg Stiftung).

4. I Greci hanno delle pensioni d’oro, e sono tutti baby-pensionati. Falso due volte: I lavoratori maschi vanno in pensione in media all’età di 61,9 anni. In Germania a 61,5 anni. Le presunte “pensioni d’oro”, poi, sono queste: una media di 617 euro al mese, pari al 55% della media della zona euro.

5. In Grecia c’è un’eccessiva presenza dello Stato nell’economia. Falso: Prima della crisi, tra il 2000 e il 2006, il rapporto tra spesa pubblica e Pil era sceso dal 47% al 43% e si era sempre mantenuto al di sotto del livello tedesco. Per non parlare della Svezia, il cui rapporto tra spesa pubblica e Pil negli ultimi 10 anni si è sempre mantenuto tra il 51% e il 55%.

6. I Greci hanno truccato i conti. Vero. Il deficit è sempre stato superiore al limite del 3% previsto dal Trattato di Maastricht dal 1997 in poi. I trucchi contabili sono stati evidenti sin dal 2004. Come mai nessuno ha fatto niente? Perché era funzionale agli interessi di Germania e Francia (in quanto esportatori e in quanto creditori) che la Grecia fosse nella zona euro.

7. La Grecia non è competitiva. Vero. La Grecia ha da molti anni un forte deficit della bilancia commerciale, che nel 2009 ha raggiunto il 14% del prodotto interno lordo. Questo è il vero problema della Grecia. Peccato che all’origine del problema ci sia (anche) l’euro, che ha ridotto i rischi legati al tasso di cambio tra i Paesi europei e impedito le svalutazioni competitive, favorendo così le importazioni di prodotti manifatturieri dalla Germania e accentuando la specializzazione produttiva greca in servizi non destinati all’esportazione.

8. Il debito pubblico greco è troppo elevato. Vero. E’ passato dal 115% del Pil del 2007 al 143% del 2010. La causa ultima è rappresentata dal deficit della bilancia commerciale nei confronti dell’estero: quando c’è uno squilibrio prolungato di questo genere, qualcuno deve indebitarsi; nel caso della Grecia lo Stato. Ma l’impennata recente del debito è dovuta in buona parte alle pressioni speculative, la cui responsabilità grava soprattutto sulla pessima gestione della situazione da parte delle istituzioni europee.

9. La Grecia deve risparmiare di più. Falso. A causa delle misure di austerità intraprese nel 2010, il reddito dei Greci si è ridotto in media del 20%. Allora ci si può chiedere per quale motivo il debito pubblico abbia continuato a crescere. La risposta è semplice: perché – proprio a causa delle misure di austerity – si è avuto un crollo della domanda interna (-18% a marzo 2011 rispetto a un anno prima), quindi dell’economia (65mila imprese hanno fatto bancarotta), quindi anche delle entrate fiscali per lo Stato (-1,2 miliardi di euro quest’anno rispetto alle previsioni).

10. Le privatizzazioni possono rappresentare una soluzione. Falso. Quando si deve vendere per forza il prezzo lo fa chi compra e oggi è difficile trovare compratori a prezzi non di saldo. Inoltre, quando lo Stato vende aziende profittevoli, si priva per sempre dei relativi introiti.


Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2011

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