sabato 11 luglio 2015

Il trionfalismo del grande traditore

Inchiesta coop. Nelle intercettazioni il piano di Renzi contro Letta «l’incapace». L’ex premier: si commenta da solo. Dopo i dati sull’occupazione Palazzo Chigi canta vittoria. Senza motivo
di Andrea Colombo, Il Manifesto
Prima o poi il popolo di sini­stra in coro dovrà chie­dere scusa a Mas­simo D’Alema. Non che il rot­ta­mato lea­der dal baffo tagliente non meri­tasse molte delle cri­ti­che che lo hanno tra­sfor­mato nel sim­bolo di come non si dovrebbe fare una poli­tica lim­pida, però il rot­ta­ma­tore fa di peg­gio, e con minore ele­ganza. Dopo quasi vent’anni, all’allora segre­ta­rio dei Ds ancora non per­do­nano la mano­vra di palazzo che abbattè il governo Prodi. All’imberbe segre­ta­rio del Pd 2014, viene scon­tata come se nulla fosse una mano­vra ben più rozza, tesa a sgam­bet­tare il governo Letta con l’appoggio aperto di Berlusconi.
L’intercettazione datata 10 gen­naio 2014 tra il futuro pre­si­den­tis­simo e il com­dante inte­re­gio­nale della Guar­dia di Finanza Michele Adi­nolfi, un ami­cone di Gal­liani, non per­mette dubbi. Il Naza­reno doveva ancora nascere, Letta doveva «star sereno». Ma il neo­se­gre­ta­rio aveva le idee chiare sull’urgenza di slog­garlo da palazzo Chigi gra­zie al soda­li­zio con il capo azzurro. Uomo di tweet, dun­que di poche parole, Renzi non si per­deva in sofi­sti­cate ana­lisi: «Non è capace. Non è cat­tivo. Non è pro­prio capace». «Parole che si com­men­tano da sole», si è limi­tato a repli­care l’«incapace» in que­stione, al secolo Enrico Letta.
L’intercettazione, in effetti, non giova all’immagine di un pre­si­dente del con­si­glio affi­da­bile, ma dato che sul punto nes­suno nutriva illu­sioni, Renzi non se ne pre­oc­cupa. Al con­ta­rio, coglie al volo l’occasione d’oro offerta dai dati Istat sulla cre­scita della pro­du­zione indu­striale per can­tare vit­to­ria su tutti i fronti: «Pos­siamo e dob­biamo fare di più, certo, ma gra­zie alle riforma qual­cosa si muove». Su Face­book, sce­glie un mag­gior trion­fa­li­smo: «La strada è trac­ciata da un pac­chetto di riforme così signi­fi­ca­tive da non avere pre­ce­denti. Se que­ste riforme le aves­sero fatte quelli prima di noi, ora la nostra eco­no­mia sarebbe più forte». Chissà che, tra le righe, non ci sia una frec­ciata anche rivolta a Letta, uno di quelli che, secondo il lea­der che lo ha spo­de­stato, avrebbe potuto e dovuto fare ma se ne è astenuto.
In realtà, il giu­bilo del pre­si­dente del con­si­glio è molto par­zial­mente giu­sti­fi­cato, e nell’attribuire a se stesso i meriti addos­sando ai pre­de­ces­sori la colpa imper­do­na­bile dell’immobilismo di vana­glo­ria ce n’è a car­ret­tate. Sulla carta le nuove assun­zioni sono una valanga: scre­mate da truc­chi e truc­chetti vari, inclusi i molti indotti dal jobs act, si ridu­cono a un muc­chietto. La boc­cata d’ossigeno della pro­du­zione indu­striale si deve più alle misure di Dra­ghi che al tocco magico del fio­ren­tino, che ha colto un’onda infi­ni­ta­mente più favo­re­vole dei pre­de­ces­sori, ingab­biati nella maglia stretta di un’austerità senza varchi.
La sod­di­sfa­zione del pre­mier però non è fit­ti­zia, e non si deve solo ai dati Istat o all’approvazione della riforma della scuola, capi­tolo in realtà spi­noso, e nem­meno all’imminente pas­sag­gio di una riforma Rai con­cor­data di fatto con Media­set. A far tor­nare i sor­ri­soni nei cor­ri­doi di palazzo Chigi sono soprat­tutto gli umori otti­mi­sti sul fronte greco. Per Renzi la Gre­xit sarebbe un danno poli­tico e un disa­stro eco­no­mico, nono­stante le ras­si­cu­ra­zioni d’ordinanza del mini­stro Padoan. Ma una vit­to­ria piena di Tsi­pras sarebbe una sonora scon­fitta poli­tica. Il mirag­gio di una per­ma­nenza della Gre­cia nella moneta unica, ma a prezzo di riforme pesan­tis­sime accet­tate da Tsi­pras è per palazzo Chigi la solu­zione di gran lunga migliore.
La vera nota dolente, quella che impe­di­sce alla squa­dretta del pre­mier di essere dav­vero sol­le­vata, è solo in parte rap­pre­sen­tata dalle ombre adden­sate sulle pro­spet­tive d’autunno: la riforma del Senato, dove si dovrà tro­vare una qual­che forma di elet­ti­vità pena il fal­li­mento, e la mano­vra eco­no­mica tutt’altro che leg­gera die­tro l’angolo. Que­ste sono pre­oc­cu­pa­zioni reali, e fon­date. Ma il cruc­cio vero è di altro stampo. Il fatto che è le riforme di Renzi, giu­ste o molto più spesso sba­gliate che siano, effet­ti­va­mente pro­ce­dono e in Par­la­mento hanno poco da temere. Solo che, con­ta­ria­mente alle aspet­ta­tive, non por­tano il con­senso spe­rato e pre­vi­sto. La par­tita vera Mat­teo Renzi se la dovrà gio­care su quel fronte, non tra i ban­chi di un Par­la­mento addomesticato.

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