martedì 7 luglio 2015

La sconfitta che accelera il declino del renzismo di Michele Prospero, Il Manifesto

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L’asse Rignano-Berlino, messo su in gran fretta per spez­zare le reni alla Gre­cia, è mise­ra­mente crol­lato. Con il sogno di un pezzo di man­tello impe­riale da pog­giare sulle spalle, Renzi è volato dalla Mer­kel. In ginoc­chio dinanzi al nuovo sovrano del con­ti­nente, riven­di­cava un rico­no­sci­mento uffi­ciale del suo rango di vas­sallo fedele che ha ese­guito bene il man­dato. Con la distru­zione dei diritti del lavoro e il rogo della scuola pub­blica, lui si pre­sen­tava come la solu­zione, la ragione obbe­diente ai voleri dei signori della tec­nica e della finanza. Tsi­pras invece era il pro­blema, la fol­lia, il disor­dine. Mai viag­gio, per incas­sare bene­fici imme­diati, fu più incauto. La terra pro­messa, cioè l’ombrello pro­tet­tivo della signora della teu­to­nica potenza, per il gio­vin cava­liere errante si tra­sforma ora in incubo.
Un altro fal­li­mento. Dopo il trend elet­to­rale disa­stroso, che dall’Emilia alla Ligu­ria aveva visto la fuga del popolo della sini­stra da un par­tito che ha il pro­gramma mas­simo della destra eco­no­mica euro­pea, la bato­sta greca acce­lera il declino del ren­zi­smo. I suoi ideo­logi ave­vano cer­cato di but­tarla in velina di regime pre­sen­tando l’immagine di una Gre­cia con gli arse­nali pieni e le tasche vuote. E al coro di dele­git­ti­ma­zione si era aggiunto Vel­troni, dalle colonne di un gior­nale apo­crifo. Con la sua pre­di­ca­zione dome­ni­cale ammo­niva: Roo­se­velt non avrebbe fatto un refe­ren­dum per deci­dere se entrare in guerra. Il corag­gio di Tsi­pras si colo­rava, nella penna di solito buo­ni­sta dell’artefice della virata libe­ri­sta del Lin­gotto, di codardia.
Con Renzi alla corte della Mer­kel si con­geda, e in malo modo, anche una parte cospi­cua degli eredi della tra­di­zione del Pci, che hanno inte­rio­riz­zato valori, sim­boli, cre­denze, inte­ressi mate­riali della destra eco­no­mica e tec­no­cra­tica. Il refe­ren­dum greco suona la cam­pana a morte per le poli­ti­che neo­li­be­ri­ste impo­ste in Ita­lia anche da una parte influente di quel mondo senza più radici e iden­tità. Il van­gelo della tran­si­zione post-berlusconiana, esi­geva riforme strut­tu­rali, sospen­sione delle ele­zioni, for­za­ture costi­tu­zio­nali, governi d’eccezione che alte­ra­vano i tempi del gioco dei poteri par­la­men­tari e adot­ta­vano il pro­gramma eco­no­mico scritto dalle potenze del capi­tale sotto il ricatto della spe­cu­la­zione. La mano­vra sullo spread è la nuova coer­ci­zione musco­lare che costringe i paesi privi dello scudo della sovra­nità alla resa nel tempo della post-politica. Gli eventi della Gre­cia man­dano in sof­fitta i simu­la­cri appas­siti del socia­li­smo euro­peo, per­ce­pito come brac­cio seco­lare del busi­ness e parte inte­grante del piano del capi­tale glo­bale con­tro i diritti del lavoro. Nell’Europa del sud si è aperta una frat­tura sto­rica, una di quelle cesure che impli­cano la com­parsa di nuovi attori poli­tici, la matu­ra­zione di altre culture.
La sfida di Tsi­pras non appar­tiene alla con­giun­tura, e non è un feno­meno solo locale, o la mani­fe­sta­zione radi­cale di un elle­ni­smo peri­fe­rico. È parte di un pro­cesso euro­peo più vasto, che da Atene si spinge verso Madrid, e annun­cia l’inizio di una nuova sini­stra, cri­tica verso il capi­ta­li­smo post­mo­derno, come impor­rebbe il suo stesso codice gene­tico, da troppi dimen­ti­cato. Una sini­stra legata al lavoro, in ogni paese dovrà assu­mere carat­teri ori­gi­nali nell’organizzazione, nella cul­tura, nei sim­boli. Le parti della tra­di­zione del comu­ni­smo ita­liano rima­ste coe­renti con i punti car­dine di una cul­tura cri­tica verso gli idoli del capi­tale, le reti dell’associazionismo civico, le sen­si­bi­lità sociali di un radi­ca­li­smo reli­gioso, e le nuove istanze dei diritti di libertà, il movi­mento sin­da­cale legato al con­flitto devono par­te­ci­pare a un pro­cesso per la defi­ni­zione di un nuovo sog­getto poli­tico. Biso­gna fare in fretta per­ché già si è accu­mu­lato un ritardo e tanti errori sono stati com­messi. È oppor­tuno ascol­tare la lezione greca che dà la carica per l’invenzione organizzativa.
I com­men­ta­tori che inca­sel­lano il feno­meno Tsi­pras nelle cate­go­rie del popu­li­smo com­piono un deli­be­rato com­pi­tino di depi­stag­gio cogni­tivo. Il dise­gno di Tsi­pras non ha nulla di popu­li­sta, cioè non costrui­sce inganni, devia­zioni, capri espia­tori. Non col­tiva la paura ma la per­ce­zione della pro­pria con­di­zione sociale e non c’entra nulla con la ruspa che se la prende con i nemici imma­gi­nari. Niente in comune ha poi con lo tsu­nami tour, che odia anche il sin­da­cato ed evita di col­lo­carsi in una parte pre­cisa nello spa­zio poli­tico e sociale. Tsi­pras non salta con imma­gini defor­manti il con­flitto, anzi lo nomina, lo poli­ti­cizza. E non si situa oltre la cop­pia destra-sinistra, al con­tra­rio la riven­dica come fon­da­tiva, la declina in forme tra­spa­renti. Il suo è un dise­gno di radi­ca­liz­za­zione della pro­po­sta poli­tica e sociale della sini­stra dinanzi alle sof­fe­renze di un paese ridotto in ginoc­chio dalle classi poli­ti­che tra­di­zio­nali, con la Spd che ora vuole la resa dei conti con­tro i ribelli greci e minac­cia “misure umanitarie”.
Per que­sto recu­pero da sini­stra dell’interesse nazio­nale, Tsi­pras parla all’Europa del sud ed è, il suo per­corso, l’esatto con­tra­rio del popu­li­smo, che inventa nemici di una cul­tura altra, li espone alla gogna in maniera osses­siva gra­zie alle coper­ture dei media, che fab­bri­cano fan­ta­smi di comodo pur di pro­teg­gere il capi­tale dagli attori del con­flitto. All’invenzione di un total­mente altro (immi­grato, islam, rom) con­tro cui spa­rare il risen­ti­mento e le paure degli esclusi, egli con­trap­pone la verità dei rap­porti mate­riali. Con forza denun­cia il domi­nio che vede l’idolo pagano con sim­bo­lo­gie teu­to­ni­che suc­chiare il suo net­tare dal cra­nio dei popoli uccisi con le poli­ti­che di auste­rità pale­se­mente inso­ste­ni­bili. La ven­detta dei mer­cati non tar­derà a sca­gliarsi con furore cieco con­tro la rivolta poli­tica inau­gu­rata ad Atene. Ma il voto greco dice che è pos­si­bile una grande poli­tica, con­tro il ser­vi­li­smo del fre­sco vigore di un Renzi, orfano delle magni­fi­che riforme impo­po­lari che senza una rimo­du­la­zione del debito, una rivi­si­ta­zione del fiscal com­pact saranno state prove inu­tili di sacri­fi­cio. Con il suo volo alto nei cieli di Ger­ma­nia, per assi­cu­rare a poche ore dal refe­ren­dum che la par­tita si gio­cava tra l’euro e la dracma, Renzi ha scor­dato le parole del poeta: «Ai voli troppo alti e repen­tini / sogliono i pre­ci­pizi esser vicini».

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