mercoledì 22 luglio 2015

Le rivoluzioni fiscali del Paese di Pulcinella di Curzio Maltese

Chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla. L'Italia dell'ultimo ventennio si è incaricata di sperimentare fino in fondo la sentenza di Santayana. Pare incredibile, almeno agli italiani che hanno conservato l'uso della memoria, di dover assistere all'ennesima replica del grandioso dibattito sull'imminente riduzione delle tasse da parte di un governo. In quale anno siamo? Il 2015 o il 1994?
Fare il politico in Italia è davvero facile, nonostante la presunta ondata di antipolitica. Siamo l'unica grande nazione dove i politici sono giudicati per quanto promettono e non per come agiscono. Dunque, eccoci ancora alla tenzone fra i molti pro e i pochi contro la colossale riforma del fisco annunciata che dovrebbe portare miliardi e miliardi nelle tasche degli sfiancati contribuenti. Ma davvero?
I media sono ancora spaccati su due curve tifose, da una parte i governativi, che giudicano il maxi sconto fiscale non solo possibile ma semplicissimo, dall'altra gli anti governativi che lo giudicano o impossibile o immorale. Ai secondi bisognerebbe domandare perché giudichino immorale far pagare meno tasse al popolo più tartassato della terra. Ai primi bisognerebbe chiedere perché mai, se ridurre le tasse era così facile, per vent'anni tutti i governi italiani le hanno aumentate, a costo di non essere mai una sola volta confermati alle elezioni successive. Ma in realtà sarebbero domande inutili, perché si tratta appunto di tifoserie e non di opinioni razionali.
Dal 1994 a oggi tutti i premier, nessuno escluso, da Berlusconi a Prodi a Berlusconi a Letta, con l'eccezione parziale di Monti (impegno differito), hanno promesso all'insediamento che avrebbero ridotto le tasse "come mai nessun governo aveva fatto in precedenza". Berlusconi, il più sfrontato, è arrivato addirittura a replicare la stessa promessa sulle due aliquote al 23 e al 33 per cento per ben tre volte, a distanza di molti anni, nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Scatenando ogni volta lo stesso dibattito cui assistiamo in questi giorni.
Il risultato concreto di tale gigantesco impegno bipartisan è stato che la pressione fiscale apparente è cresciuta in Italia dal 40 al 45 per cento, la peggior performance in Europa, e quella reale o legale, al netto del sommerso, ha toccato il record mondiale del 55 per cento. La reazione normale del contribuente quindi, di fronte a un'ennesima promessa, sarebbe di toccare ferro.
Vi sono stati naturalmente occasionali regali fiscali, in genere alla vigilia elettorale, che poi gli italiani avrebbero ripagato con molti interessi. La più celebre è stata l'abolizione della tassa (Ici) sulla prima casa, da parte del governo Berlusconi, che è durata soltanto tre anni ed è stata sostituita con la ben più onerosa Imu dal governo Monti in poi. Non parliamo poi dell'abolizione della tassa di successione, oggettivo favore ai ricchissimi e di conseguenza da ascrivere alle leggi ad personam, compensata con l'impennata di altri balzelli.
Per quanto vi possa arrivare anche un bambino di undici anni, l'età media che i leader italiani attribuiscono a noi cittadini, le ragioni per cui nel nostro Paese non è possibile abbassare le tasse vengono di continuo rimosse dal dibattito pubblico. Le due principali sono: 1) La più alta evasione fiscale d'Europa dopo la Grecia, dai 120 ai 150 miliardi all'anno; 2) Gli interessi da pagare sul terzo debito pubblico del pianeta, che non solo impediscono la riduzione delle tasse, ma anche riducono l'erogazione di servizi pubblici e di fatto annullano o quasi la possibilità d'investimenti strategici per la crescita (istruzione, ricerca, formazione, cultura, ecc).
Un governo serio dovrebbe spiegare ai cittadini che l'unica possibilità di ridurre il carico fiscale sui contribuenti risiede in una dura lotta all'evasione e/o in una robusta ristrutturazione del debito pubblico. Matteo Renzi non accenna neppure al gigantesco problema dell'evasione, come ha notato qualcuno, nel timore forse di perdere i consensi della massa di elusori ed evasori. Un timore che ha frenato, per usare un eufemismo, anche gli slanci riformisti di Berlusconi. Tanto meno il terzo governo consecutivo nominato da Berlino si permette di porre la questione dell'evidente insostenibilità del debito pubblico, che ove interessasse accumula record su record, probabilmente per colpa dei "gufi", e ha sfondato i 2200 miliardi, dopo essere cresciuto solo nell'ultimo anno di 84 miliardi, ovvero l'equivalente del piano di salvataggio della Grecia.
L'esistenza di tali macigni sulla schiena dei contribuenti è un segreto di Pulcinella, ben custodito dall'imbarazzante informazione italiana, ma assai presente alla stampa internazionale. Fin tanto che un governo italiano non affronterà di petto le due questioni, in materia di fisco assisteremo appunto a rivoluzioni di Pulcinella. Naturalmente è ben possibile che il governo Renzi abolisca l'anno prossimo la tassa sulla prima casa e poi si avvii a elezioni, promettendo il resto a voto ottenuto. È un film già visto. Si replica da vent'anni. Con successo. Per loro.

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