martedì 4 agosto 2015

La vita del signor Vasile valeva meno della mia. Perché lui era rumeno, io italiana di Deborah Dirani

ROMANIAN GUY
Quanto vale la vita di un uomo? Quanto risarcimento spetta ai famigliari di un essere umano asfaltato da un camionista mentre cammina sul ciglio della strada, facendosi beatamente i fatti suoi? Dipende.
Se l'essere umano che passeggia è un italiano la sua vita interrotta ha un prezzo, che ovviamente pagherà chi l'ha ammazzato. Se però quell'essere umano è un rumeno il prezzo che gli si appiccica sopra è ridotto circa di un terzo. Chiaro: i rumeni sono tutti zingari, ladri, stupratori e, quando va bene, muratori in nero che portano via il lavoro agli italiani. Non è che la loro vita può essere equiparata a quella di un bravo italiano che tuttalpiù è mafioso, ma tanto la mafia non esiste ed è tutta propaganda politica.
Perché poi esistono esseri umani di serie A (di solito caratterizzati dall'appartenere alla parte nord-occidentale del Pianeta) ed esseri umani di serie B, ma anche C, D e giù fino alla Z (di solito caratterizzati dall'arrivare dall'altra parte del mondo, quella in basso e decisamente più a destra). La classificazione dei "cristiani" sono mica io a farla, sono i giudici, anzi un giudice. Precisamente un magistrato della Corte d'Appello di Milano che ha sentenziato sull'opportunità di risarcire i parenti di un rumeno, il signor Vasile Patru, che nel 2007 è stato ucciso a Barletta da un camionista mentre camminava sul ciglio della strada.
Ora: premesso che già in primo grado era stata accertata la corresponsabilità della vittima nell'incidente e, di conseguenza, il risarcimento inizialmente richiesto dalla famiglia decurtato del 50%, con la sentenza della Corte d'Appello a quel 50% che rimaneva è stato tolto un ulteriore 30%. Il magistrato ha motivato la sua decisione specificando che la vita in Romania è meno cara che in Italia e quindi ai familiari dell'uomo ammazzato, che risiedono nel loro paese, spettava meno di quanto sarebbe toccato ai familiari di un italiano residenti in patria.
La logica aberrante che sta alla base di questo giudizio finirà col creare un precedente gravissimo che, per come butta oggi qua tra giustizieri fai da te e razzisti dell'ultima ora, rende ancora più debole la posizione già debole degli immigrati. Perché se fino ad oggi restava almeno la certezza di fondo che una vita è una vita, a prescindere dalla nazionalità, a questo punto una vita è una vita ma il suo valore dipende dalle coordinate geografiche. E importa ben poco se la vita perduta è quella di un uomo che manteneva la sua famiglia, se aveva figli, moglie, genitori e fratelli che magari contavano su di lui per tirare avanti: se arriva dalla parte sbagliata del mondo la sua vita vale meno di quella di chi arriva dalla parte giusta.
C'è così poca umanità, così poca consapevolezza, in questa sentenza che mi domando se ad emetterla sia stato davvero un essere umano. Uno fatto di carne e sangue come il signor Vasile. Perché il punto è che tra quel giudice e quel pover'uomo morto non c'è differenza. O meglio quella che c'è dipende da variabili che hanno come comune denominatore la fortuna della nascita. Il giudice è nato in Italia, Vasile in un paese dell'ex blocco sovietico. E francamente non trovo giusto che la fortuna possa essere usata a danno o beneficio di una vittima. Che le vittime, almeno loro, dovrebbero essere tutte uguali. Ma ancora no. La loro vita vale soldi, banconote o spiccioli: dipende. Alla fine dei conti oggi c'è una compagnia assicurativa che guadagna sul cadavere di un uomo, un giudice che stabilisce un nuovo tariffario della vita umana e una famiglia che viene maltrattata dal diritto.
Mi dispiace tanto per questa famiglia, mi dispiace che qualcuno abbia fatto capire loro che la loro pelle vale meno della mia. Perché per me non c'è differenza: per me ogni uomo vale infinitamente di più di tutto il denaro del mondo. Perché per me non importa da dove un uomo arrivi, che lingua parli, che piatti si trovi in tavola quando si siede: un uomo è un uomo e nessuna sentenza razzista, sdoganata come legittima e corretta, potrà mai farmi cambiare idea.

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