sabato 28 novembre 2015

"Quattro anni senza Lucio Magri". Intervento di Franco Astengo

Lucio Magri, «Alla ricerca di un altro comunismo» (Il Saggiatore, pagine 288, € 18,50)


A distanza di quattro anni, all’interno di una fase di temperie inedita che la sinistra italiana sta attraversando priva com’è di una adeguata rappresentanza politica tale da permetterle di affrontare i rischi di guerra globale, l’inasprimento delle contraddizioni sociali, la crisi verticale della democrazia: tutti gli elementi, cioè, che caratterizzano questa fase politica costruendo un vero e proprio “ritorno all’indietro”
Al momento della scomparsa di Magri si è posto il problema di come continuare a far vivere il suo lavoro in una forma che potesse produrre elementi di riflessione e di dibattito, partendo da un giudizio sulla sua collocazione politica: Magri è sempre stato un eterodosso (un errore del quale occorre fare autocritica quello di definirlo “eretico”) perché ha sempre cercato, nel suo operato culturale e politico, di “innovare la tradizione” presentando un alto livello di progettualità politica e sociale.
In questo senso un riferimento utile rimane il testo “Alla ricerca di un altro comunismo” che contiene un’antologia dei suo scritti principali, curato da Aldo Garzia, Famiano Crucianelli, Luciana Castellina.
In particolare, scorrendo i testi contenuti nel volume e al riguardo dei quali è stata compiuta dai curatori una scelta molto accurata tra i tanti lavori che pure avrebbero potuto essere considerati fondamentali, sono stati privilegiati i temi della critica al sistema sovietico (uno dei punti sulla base dei quali, nel 1969, il gruppo del “Manifesto” fu radiato dal PCI) e l’originalità (in allora!) del cosiddetto “caso italiano”, considerando proprio gli elementi di diversità e di originalità nella riflessione teorica già presenti in Gramsci e Togliatti.
Una “diversità” da utilizzare per costruire una grande esperienza politica e sociale rivolta a cambiare la società italiana.
Magri, nell’ultima fase della sua vita prima della “decisione fredda” di allontanarsi definitivamente, aveva visto con chiarezza il degrado cui stava andando incontro la nostra vita politica e la difficoltà della sinistra a riunificarsi in un soggetto posto all’altezza delle contraddizioni del presente.
Su questi temi era così nata una lunga conversazione, riportata nel volume e che ne rappresenta uno dei punti salienti, che presenta nel suo scorrersi spunti di grande interesse, anche sul piano dell’autocritica: in particolare rispetto alla fase di scioglimento del PCI (con il seminario di Arco di Trento, nel corso del quale Magri tenne la relazione “In nome delle cose”) alla conclusione della quale entrambi i soggetti determinati da quel frangente, PDS e Rifondazione Comunista, risultarono del tutto insufficienti a rappresentare la complessità di quella parte della società italiana che aspirava e ambiva a una trasformazione radicale del Paese.
Un accenno al percorso politico di Magri: dagli esordi nel movimento giovanile democristiano fino all’adesione al PCI, nell’indimenticabile ’56.
Una decisione controcorrente presa proprio nei giorni del XX congresso, quello della “destalinizzazione”, e della repressione armata della rivolta di Budapest.
E’ poi il caso di ricordare alcuni passaggi fondamentali di questa lunga e importante esperienza politica, a partire dall’intervento svolto al convegno sulle tendenze del capitalismo italiano, organizzato dall’Istituto Gramsci nel 1962 all’esordio del centrosinistra, allorquando Magri individuò con esattezza l’esigenza di una critica di fondo ai meccanismi d’innovazione del capitalismo italiano (ci si trovava nel pieno del “boom” economico) e di una nuova lettura del ciclo economico europeo).
Seguì la vicenda dell’XI congresso vissuta accanto ad Ingrao (allorquando proprio Ingrao ruppe l’unanimismo che contraddistingueva il gruppo dirigente del PCI con la famosa frase: “Non mi avete persuaso” fino al congresso successivo, il XII, con la formazione del gruppo del “Manifesto, la pubblicazione della rivista omonima da lui diretta con Rossana Rossanda, la radiazione dal partito.
Seguirono poi le vicende del PdUP, soggetto politico nato come proiezione dell’esperienza del gruppo originario e poi sviluppatosi, per circa un quindicennio, in una ricerca appassionato di nuove dimensioni e nuove identità per una sinistra contraddistinta, da un lato, dalle forme emergenti del ’68 e, dall’altra, dalla grande tradizione storica del movimento operaio italiano.
Fu al seminario di Bellaria, nel 1978, che Magri, analizzata la situazione politica, segnata in quel momento dalla vicenda del rapimento Moro e dai governi di “solidarietà nazionale”, ebbe l’intuizione, che nel PCI si sarebbe riaperta una discussione di fondo: negli anni successivi quella intuizione fu confermata, in particolare da parte di Enrico Berlinguer, con l’adozione della linea dell’alternativa e l’individuazione di una “questione morale” anche all’interno dello stesso partito comunista, quale frutto di una degenerazione dell’intero sistema dei partiti.
Alla morte di Berlinguer si verificò il ritorno del PdUP nel PCI. Nel 1989 Magri ebbe un ruolo di grande rilievo nell’opposizione alla decisione di Occhetto di sciogliere il partito per costruire un nuovo soggetto che assumendo la tematica del governo considerata esaustiva del suo agire “sbloccasse il sistema politico”.
In quel frangente Magri fornì un importantissimo contributo con la relazione svolta al seminario di Arco, svoltosi nell’ottobre del 1990.
“Nel nome delle cose”, il titolo di quel testo che può essere considerato come uno degli ultimi atti intellettuali e politici compiuti in nome della sinistra comunista in Italia, che proprio nell’occasione del seminario di Arco si può dire abbia compiuto il suo ultimo atto.
Le divisioni all’interno del fronte, pur composto da dirigenti prestigiosi e di grande capacità politica da Natta a Ingrao, da Cossutta a Garavini, che si oppose a quella decisione, impedirono un esito felice di quel lavoro di proposta e di iniziativa avverso l’operazione di dispersione del patrimonio culturale, organizzativo, politico che la sinistra comunista italiana era riuscita a produrre nel corso dei decenni.
Ne derivò un risultato molto deludente, in particolare nella formazione di una Rifondazione Comunista realizzata attraverso un meccanismo di vero e proprio “affastellamento” di istanze negativamente contraddittorie: personalismo, movimentismo, governativismo.
Tutti fattori di vera e propria incultura politica che incidono ancora adesso nei tentativi di ricostruzione di una presenza di sinistra negativamente percorsi dall’ennesima istanza di un pericoloso “ismo”: il politicismo.
Alla fine l’esperienza di impegno di Magri la direzione della “Rivista del Manifesto” e il successivo abbandono dell’attività politica, fino alla stesura del “Sarto di Ulm”.
La differenza fra questi due testi può essere così individuata: il “Sarto di Ulm” ha ricostruito la storia, con “Alla ricerca del nuovo comunismo” si è cercato di ricostruire il personaggio.
Come può, alla fine, essere sinteticamente riassunta l’eredità politica di Lucio Magri: attorno a due punti, il primo riguarda la sua idea della politica, intesa oltre che come azione anche come pensiero (bisogna sempre avere un’idea del mondo, possedere una chiave di lettura per interpretarlo); la seconda che non bisogna mai agire, in politica, in forma minoritaria, considerando sempre la visione complessiva delle cose, indipendentemente delle dimensioni della soggettività politica all’interno della quale si agisce.
In questo senso Magri può ben essere considerato come un genuino interprete del concetto di “egemonia” gramsciano, inteso in senso più propriamente politico: di concezione della politica come sintesi delle proiezione storica della necessità di rappresentanza della complessa articolazione delle “fratture” sociali, nella ricerca di un loro costante aggiornamento e nell’ottica di una proposta di superamento del sistema.
Lucio Magri per il comunismo e non per meno.

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