venerdì 22 gennaio 2016

Nazionalizzare subito il Monte dei Paschi di Siena




di Enrico Grazzini
Il Monte dei Paschi di Siena, la terza maggiore banca italiana, non ha più un azionista di controllo ed è in preda a tempeste speculative. Il governo Renzi dovrebbe intervenire al più presto per nazionalizzare MPS grazie all'intervento della Cassa Depositi e Prestiti. L'economia e la finanza italiana non possono permettersi di perdere la banca senese: MPS ha, secondo gli ultimi dati di bilancio, circa 2200 sportelli, circa 4 milioni di clienti, e impieghi per 112 miliardi di euro, di cui però 24,8 miliardi sono costituiti da crediti deteriorati -. Il governo non può permettere che una banca di tale importanza sia affidata completamente agli umori delle speculazioni di mercato e vada allo sbando. Tutta l'economia italiana entrerebbe in zona di grande pericolo.

La CDP di Claudio Costamagna e di Fabio Gallia dovrebbe giocare il ruolo principale per salvare MPS minacciata dalla montagna di crediti deteriorati e dalle nuove pessime norme sull'Unione Bancaria voluta dalla Commissione UE. Oggi basterebbero circa 300 milioni per diventare l'azionista di controllo di MPS, dal momento che il valore delle azioni MPS è crollato e che la banca è arrivata a capitalizzare meno di 2 miliardi di euro. Nel suo piano industriale 2016-2020 CDP prevede di mobilitare risorse ingenti, pari a 260 miliardi di euro: sul piano finanziario esiste quindi tutto lo spazio necessario affinché CDP investa solo poche centinaia di milioni per ottenere il controllo della terza principale banca italiana. Che tra l'altro ha indici fondamentali sani.
Non bisognerebbe gridare allo scandalo di fronte alla nazionalizzazione. Se MPS venisse nazionalizzata non si instaurerebbe il socialismo reale in Italia. In Francia e in Germania lo stato controlla già direttamente molti istituti bancari. Perfino l'ultraliberista governo della Gran Bretagna ha nazionalizzato banche in crisi come Northern Rock e Royal Bank of Scoltland. Perché la CDP non dovrebbe intervenire, prima che si diffonda il panico tra i correntisti e che ci sia la corsa per ritirare i depositi? Perché la CDP non dovrebbe nazionalizzare la banca creando magari un grande polo bancario nazionale tra MPS e Bancoposta? Un polo pubblico nazionale è opportuno per rilanciare il credito alle imprese e alle famiglie.

Il governo Renzi e la CDP di Costamagna dovrebbero reagire con maggiore fermezza di fronte agli attacchi che l'Unione Europea e Jean-Claude Juncker, capo della Commissione UE, rivolgono ormai quasi quotidianamente all'Italia. Anche se la poi UE accusasse la CDP di “aiuto di stato”, il contenzioso giuridico sulla nazionalizzazione durerebbe anni. La eventuale sentenza della Commissione UE potrebbe essere impugnata dal governo, andrebbe dopo anni alla Corte Europea di Giustizia, dove alla fine vinceremmo. Intanto una delle principali banche italiane, che presta decine di miliardi di euro alle famiglie e alle aziende, verrebbe salvata.

Inoltre il governo italiano dovrebbe cominciare a contestare le norme assurde e penalizzanti dell'Unione Bancaria Europea che stanno condannando le nostre banche. Con tutta probabilità c'è un disegno perseguito dall'alta finanza (soprattutto tedesca) per mettere in difficoltà le banche italiane, svalutare il loro valore di mercato per poi acquisire il controllo degli istituti migliori.

L'unione bancaria europea è una disunione perfetta, perché i risparmiatori di ogni paese per la prima volta sono chiamati a pagare per i dissesti delle loro banche nazionali, e perché (per volontà esplicita del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble) manca un fondo pubblico europeo che garantisca i risparmi dei cittadini europei e la copertura della Banca Centrale Europea come garante di ultima istanza. L'attacco è direttamente al sistema bancario italiano, che rischia di venire soffocato da una montagna di crediti deteriorati pari a 360 miliardi, poco meno il 20% di tutti gli impieghi. C'è quindi la urgente necessità di un deciso intervento pubblico.
A fine giugno 2015 i prestiti deteriorati delle banche italiane ammontavano a 360 miliardi di euro, pari al 18% del totale; all’interno di questo aggregato, le “sofferenze”, quindi i prestiti considerati irrecuperabili, ammontavano a 210 miliardi (10,3% degli impieghi). Molte aziende e famiglie non sono più in grado di ripagare i prestiti. La crisi provocata dalla suicida austerità imposta da Bruxelles (con la complicità dei governi Monti, Letta e, finora, Renzi) ha colpito duramente. In questa situazione è difficile uscire dalla crisi.
Se il governo non vuole ripetere su scala nazionale il disastro delle piccole quattro banche regionali la cui crisi è stata pagata dagli azionisti e dagli obbligazionisti junior, dovrebbe mobilitare immediatamente la CDP, la società finanziaria controllata dal Tesoro e dalle Fondazioni di origine bancaria, ma formalmente privata. Se la CDP non interviene la situazione rischia di precipitare.
Da quest'anno infatti, a causa delle norme assurde e ingiuste dell'Unione bancaria europea, i risparmiatori e tutti gli obbligazionisti saranno chiamati a pagare i dissesti bancari provocati dalla crisi, generata proprio dall'austerità europea e molto spesso dalla corruzione e dalle malversazioni criminose dei vertici bancari. Un progetto che fa a pugni con la Costituzione italiana, e che potrebbe mettere in ginocchio soprattutto le banche medie e piccole di territorio.

I risparmiatori fuggiranno prevedibilmente dalle banche minori verso le grandi banche internazionali ritenute più sicure a causa delle loro enormi dimensioni. È per questo motivo che le maggiori banche internazionali hanno promosso e salutato con gioia l'avvento dell'Unione Bancaria. Ma questa falsa unione potrebbe anche far cadere il governo Renzi. Il premier, dopo l'esperienza di Banca Etruria e delle altre banche in crisi, ha capito che deve scontrarsi con la UE se vuole rimanere in sella.

Perché la CDP guidata da Claudio Costamagna e da Fabio Gallia, nominati recentemente dallo stesso Renzi, ha le migliori possibilità di intervento? Perché la CDP è giuridicamente una società privata e quindi è fuori dal perimetro del bilancio pubblico. I suoi debiti non sono debiti di stato: la CDP ha quindi, almeno sulla carta, ampia libertà di manovra di fronte alla UE.

La CDP dovrebbe emettere decine di miliardi garantite dal loro valore fiscale e, grazie a queste nuove risorse, promuovere e garantire una bad bank che acquisti i 360 miliardi di crediti deteriorati e li rivenda a buon prezzo alle società specializzate nel recupero crediti. In questo modo governo e CDP alleggerirebbero i bilanci bancari; e le banche potrebbero riprendere a finanziare l'economia e lo sviluppo. Purtroppo però la bad bank italiana è contrastata frontalmente dalla UE e da Berlino che non vogliono “aiuti di stato”. Dopo che la Germania ha però già dato 250 miliardi di aiuti pubblici alle sue banche. Due pesi e due misure, come sempre, in questa Unione Europea sempre più a guida teutonica. Inoltre il governo, con l'intervento della CDP, dovrebbe nazionalizzare un grande istituto di credito, come Monte dei Paschi di Siena, per finanziare subito la ripresa, gli investimenti e l'occupazione.

La nazionalizzazione di una grande banca come MPS è indispensabile per ridare fiato all'economia, soffocata dalla mancanza di moneta creditizia. In Germania e Francia molti istituti di credito nazionali e locali vedono già la partecipazione azionaria e il controllo dello stato: in Italia invece lo stato si è ritirato completamente da tutte le banche lasciando il passo ai capitali internazionali. Il risparmio nazionale rischia di finire completamente in mani straniere.

La CDP ha però un vincolo oggettivo: non può assolutamente mettere a rischio i soldi dei risparmiatori postali. Ha quindi bisogno di trovare sul mercato nuovi finanziamenti per decine di miliardi, non solo per risollevare il sistema bancario ma gran parte dell'industria strategica nazionale che sta passando in mani estere (vedi i casi di Telecom Italia e dell'Ilva). Come trovare nuove ingenti risorse? Finora la soluzione prospettata da CDP è di puntare alla partnership con il capitale straniero e con i fondi sovrani esteri, arabi, cinesi, ecc. Ma esiste anche un'altra soluzione: la CDP potrebbe emettere miliardi di obbligazioni a lungo termine (per esempio 20 anni) garantite dallo stato. Grazie all'accordo con lo stato, le obbligazioni CDP potrebbero essere accettate nel medio termine (per es. dopo 3 anni) come sconto fiscale pari al loro valore nominale. I titoli CDP non subirebbero allora oscillazioni e svalutazioni, in quanto pienamente garantiti per “pagare le tasse”. Lo stato, in cambio della sua garanzia fiscale, otterrebbe un credito verso la CDP pari al valore delle obbligazioni utilizzate come sconto fiscale. Così non aumenterebbe il debito pubblico e la CDP riuscirebbe finalmente a finanziare nuovi investimenti e ad attuare una efficace politica industriale. Senza un deciso intervento pubblico non si uscirà mai dalla crisi.

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