martedì 20 dicembre 2016

Caro ministro, sicuramente lei non soffrirà a non averci più tra i piedi. Il nostro Paese, di certo sì, di Elisa Marchetti

POLETTI
Caro ministro Poletti, nel corso degli ultimi anni i giovani di questo Paese si sono sentiti dire davvero di tutto: da bamboccioni a choosy la lista è lunga e deprimente. Lei stesso, appena un anno fa, ha detto a noi universitari che i presunti tempi lunghi per il conseguimento delle nostre lauree sono il vero problema del nostro sistema. 
Ma la delusione è una fase che abbiamo ampiamente superato. Questa ha fatto spazio alla disillusione di chi se ne va e non torna più, alla rabbia di chi resta e non può studiare quello che vorrebbe o addirittura non può permettersi di studiare, di chi non trova un'occupazione e di chi trova un lavoro che niente ha a che fare con gli studi che tanto gli sono costati.
Sì, la rabbia. Quella che si è espressa anche nel sonoro No al Referendum sulla riforma costituzionale. In quel sonoro No che ha bocciato la riforma, ma che soprattutto ha bocciato una retorica che voleva la riforma costituzionale come lo strumento per risolvere i problemi del nostro Paese.
Caro ministro, questo segnale avrebbe dovuto far capire qualcosa a chi governa, se non nelle politiche, almeno nell'atteggiamento. Per esempio, avrebbe potuto fare a meno di auspicare le elezioni anticipate per evitare i referendum sul Jobs Act promossi dalla Cgil.
Immagino sappia benissimo che molti giovani e studenti voterebbero Sì, perché gli stessi giovani e studenti sono gli stessi che il 25 ottobre di due anni fa sono scesi in piazza contro questa legge e sono gli stessi che di questa legge stanno subendo gli effetti negativi. Eppure lei, pur di non affrontare il nostro giudizio, preferirebbe non farci esprimere.
Lei dice di conoscere "gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi". Una delle tante esternazioni fuori luogo che ci siamo abituati a sentire negli ultimi tempi. Se non fosse che lei ricopre la carica di Ministro della Repubblica. Uno degli incarichi pubblici più importanti del nostro paese.
E uno dei dicasteri più importanti, almeno stando, per rimanere in tema, all'articolo 1 della Costituzione: quello del Lavoro. Il Lavoro, quello che manca ai giovani, specie nel Mezzogiorno. Il Lavoro, quel miraggio che veicola sempre più le scelte dei nostri studi. Il Lavoro, quello sempre più precario, considerati gli ultimi dati Inps sull'aumento dei voucher e dei licenziamenti disciplinari e sul calo dei contratti a tempo indeterminato.
Per questo non dovrebbe stupirla questa lettera: il peso della crisi lo stiamo pagando e lo pagheremo noi con una spending review che nell'ultimo decennio si è tradotta in tagli a scuola e università, con la disoccupazione, con il lavoretto in nero necessario per mantenerci gli studi, con quei voucher su cui vorrebbe impedirci di votare, con l'insicurezza sociale.
Questa lettera è una richiesta di rispetto. Finché nel nostro Paese non troveremo le opportunità all'altezza delle nostre aspirazioni, nessuno potrà permettersi di giudicare chi andrà a realizzarle altrove. Non siamo noi ad aver creato le condizioni di questo esodo, non siamo noi a dover trovare le risposte. Chi cerca la felicità fuori dall'Italia e vorrebbe tornare; chi resiste qui e chiede un Paese migliore; chi non riesce neanche più ad immaginarsi un futuro.
Tutti loro, tutti noi, abbiamo bisogno di risposte che che partano dal contrasto alle disuguaglianze: dalla lotta all'abbandono scolastico, all'affermazione del diritto allo studio scolastico e universitario, a un mondo del lavoro che sappia valorizzare conoscenze e competenze, in cui la parola "diritti" prenda il posto di "sfruttamento". Caro ministro, sicuramente lei non soffrirà a non averci più tra i piedi. Il nostro Paese, di certo sì.

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